Giugno, per i fan della pallacanestro (specie quella d’oltreoceano) è un periodo atteso con la stessa trepidazione di un bambino di otto anni nei confronti del Natale: è tempo di Nba Finals.
Partite in 30, dopo 82 gare di regular season e una ventina di playoff, sono rimaste soltanto due squadre, le stesse dei due anni precedenti: i Cleveland Cavaliers, campioni in carica, sfidano i Golden State Warriors, nella rivincita della rivincita. Dopo il 2015, con la vittoria della franchigia di San Francisco, ed il 2016 (in una delle finals più belle di sempre) che ha visto il team dell’Ohio vincitore per la prima volta nella sua storia, si arriva in una sorta di “bella”, anche se le premesse su cui si basa il dominio di queste due squadre suggeriscono che vedremo altri capitoli di questa saga. Ma quali sono queste premesse?
How we got here: 12-0 nei playoff. Record storico (anche se i Lakers in due occasioni riuscirono ad avvicinarsi alle finals da imbattuti, a quei tempi la prima serie dei playoff era ancora al meglio delle 5), che lascia pochissimi dubbi sulla caratura della truppa di Coach Kerr e Brown. Un sonoro 4-0 a Portland, Utah, e San Antonio (seppur con QUALCHE polemica).
Pregi: pressoché la stessa squadra dell’anno scorso, con la leggera differenza dell’aver sostituito uno dei punti deboli delle scorse finals (un orrendo Harrison Barnes) con uno dei tre giocatori che non si chiama LeBron James ad aver vinto il titolo di miglior giocatore della lega negli ultimi 9 anni, Kevin Durant. Un altro di questa lista è suo compagno di squadra, Stephen Curry, ed a differenza dell’anno scorso, si presenta 100% sano. Aggiungeteci un superbo difensore ed uno dei migliori tiratori della storia, Klay Thompson, un fenomeno come Draymond Green, una panchina con giocatori che sarebbero titolari indiscussi in altre 28 squadre Nba (Livingston, Iguodala), e prima ancora di finire di leggere l’articolo sarete già in ricevitoria a scommettere stipendio/paghetta sul titolo nella baia. Ma…
Difetti: non è tutto oro(-blu) quello che luccica: Durant è alla sua seconda serie finale, con la prima non proprio esaltante nel 2012; l’affidabilità comportamentale di Green è stata una chiave di volta in negativo l’anno scorso, con la sua esclusione in gara 5; Thompson sta avendo dei playoff assolutamente indecenti per i suoi standard; Iguodala, chiave difensiva nel 2015, ha problemi fisici; la panchina è più corta dell’anno scorso. A questi problemi contestuali, si aggiunge sempre quello filosofico: per quanto sia mortifera la smallball di Kerr, si scontra in maniera chiave con la maggiore fisicità dei Cavs ed il controllo dei rimbalzi difensivi.
Tutti questi sono difetti non sono assolutamente da trascurare, ma nonostante tutto questo Golden State viene data per favorita. No, non sono io pazzo, ma i campioni in carica non sono favoriti. Ironia della cosa a parte, vediamo l’altro lato del parquet cosa ci presenta.
How we got here: 12-1 nei Playoff. Il record di Golden State non è stato eguagliato soltanto per una eroica gara 3 di Boston nelle finali di Conference, unita alla peggiore partita ai playoff da parte di LeBron James. Ci sono stati forse più patemi rispetto ai Warriors (leggasi la serie contro Indiana combattuta molto più di quanto il 4-0 finale lasci intendere) ma considerando le premesse e la brutta parte finale di Regular Season da parte dei lacustri, il percorso è stata un netto cambiamento di marcia.
Pregi: Prima di arrivare al piatto forte, bisogna menzionare come rispetto allo scorso anno la panchina sia decisamente salita di livello, con Korver e Williams; i playoff di Kevin Love sono stati una gioia per gli occhi; e Kyrie Irving è sempre più consapevole dei suoi mezzi e della sua dimensione di stella della lega.
Detto questo, ci vorrebbe una laurea magistrale per spiegare la grandezza di Lebron James, arrivato in forma eccelsa a questa serie finale, infrangendo record su record, arricchendo sempre di più il suo CV da spedire per essere assunto come Greatest of All Time, spodestando quel simpatico pelatone che giocava con Bugs Bunny.
Difetti: non tutto è pacifico alla corte del Re: i problemi difensivi, evidentissimi nella citata Regular Season, non sono stati completamente risolti, in particolare la difesa di Love è una incognita (le rondini delle gare 6 e 7 basteranno a fare primavera?); la panchina, seppur arricchita, è assolutamente nuova a questo palcoscenico ed è assolutamente da valutare il loro impatto; Cleveland ha pur sempre rimontato da sotto 3-1, ma c’è comunque finita, sotto, 3-1 l’anno scorso. In generale il loro tasso offensivo è inferiore a quello dei rivali e la difesa non offre grandissime garanzie. Ma se c’è qualcosa che abbiamo imparato in questi anni, è che è sempre uno sport difficile scommettere contro LeBron; le Finals sono meravigliose ed assolutamente suscettibili di cambiamenti preponderanti per ogni minimo dettaglio e, banalmente, la palla è pur sempre rotonda. L’appuntamento iniziale è nella notte tra giovedì 1 e venerdì 2, e qualunque sia l’esito, saranno notti in bianco ben spese.
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