L’anno scorso, nell’undicesimo anniversario dell’uscita di Garden State – dramedy cult di Zach Braff incentrata su di un ragazzo del New Jersey che, alla morte della madre, torna nella casa di famiglia, tra psicofarmaci, vecchi amici e nuovi amori – un controverso articolo di Noisey ha suscitato non poche polemiche. Da vero Sadboy, è dovuto intervenire su Twitter persino il regista, protagonista e sceneggiatore Zach Braff, estremamente mesto e risentito nei confronti della redazione e dell’autore dell’articolo, col solo risultato di regalare loro ulteriore pubblicità (sappiamo bene, d’altra parte, come funziona il trigger-system di Vice). Inoltre, proprio pochi giorni prima della pubblicazione dell’articolo la protagonista femminile del film, Natalie Portman, aveva espresso dubbi e un senso di insicurezza sulla caratterizzazione del suo personaggio e sul film in generale.
Prevedibilmente, si è scatenato il panico: si parla pur sempre di un film che, con un budget di due milioni e mezzo di dollari, è arrivato a incassarne trentasei; si parla di un Grammy per una colonna sonora che ha il sapore di un’audiocassetta registrata, e ha definitivamente fatto esplodere l’indie-pop dei primi anni ’00; si parla di un signore che ha finanziato lo pseudo-sequel di questo film su Kickstarter, e ha ricevuto per posta due milioni; ma, soprattutto, si parla di quel signore che – per nove anni – è stato J.D. di Scrubs, e che rimarrà per sempre nel cuore dei suoi fan. Viste le premesse, è normale impazzire, se qualcuno insinua che il tuo film preferito è solo un’accozzaglia pretenziosa di brutti tropes, per di più vagamente ispirati al Woody Allen del periodo d’oro.
Le critiche a Garden State, in realtà, esistono fin dal giorno dell’uscita, e sono riassumibili nelle seguenti note: il film calca troppo la mano sul suo essere indie, i tormenti del protagonista sono esagerati e irreali, gli altri personaggi sono tutti in funzione esclusiva della redenzione del protagonista, e perciò privi di una profondità che si spinga oltre l’estetica quirky. Sebbene sia comprensibile che un film così apprezzato generi anche delle critiche, sostanzialmente fondate e comunque proporzionali all’ampiezza del suo pubblico, non bisognerebbe nemmeno dimenticare che film come questi non vanno analizzati eccessivamente, poiché si basano in fondo su sentimenti ed emozioni: è normale, insomma, che un eccessivo uso del raziocinio vada a intaccarne lo spessore.
In conclusione, Garden State è sicuramente un film che – soprattutto da una prospettiva italiana – fa fatica a essere considerato attuale nel 2016 (e non solo per la sua datata colonna sonora). Tuttavia, è anche un film che, inserito nel suo contesto, regala alcuni momenti molto coinvolgenti, e che invita un pubblico sempre nuovo a unirsi al già nutrito gruppo di nostalgici appassionati, per perdersi nei suoi particolarissimi dettagli.
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