Le Neuroscienze nel diritto. Parte seconda.
Uno dei problemi principali del diritto in Italia è dato dalla sua farraginosità. Vi è una forte difficoltà del legislatore, in particolare causata dalle lunghe tempistiche, ad adattarsi agli sviluppi della società. Esiste un settore di studi scientifici particolarmente interessante da un punto di vista giuridico, capace di crearsi in poco tempo un elevato numero sia di oppositori che di sostenitori. Il riferimento qui è alle neuroscienze, l’analisi del cervello e dei suoi collegamenti, la predeterminazione fisica di un soggetto a delinquere.
In America questi particolari argomenti sono già parte del processo, disciplinati da un apposito iter processuale, mentre in Italia il loro accoglimento giurisprudenziale è particolarmente recente. Vi è stato un famoso caso di cronaca, nel 2009, in cui per determinare la pena di Stefania Albetrani è stata fondamentale l’analisi neuro-scientifica del lobo frontale e la ricerca dei così detti geni della suscettibilità. Tuttavia questi studi non sono visti di buon occhio e la loro applicazione procede a rilento.
Ad onor del vero questi studi sono sì recenti, soprattutto la ricerca medica o scientifica, tuttavia il loro successo si fonda su diversi elementi. In parte vi è la ripresa di un profondo dibattito giurisprudenziale di secoli fa, il cui fulcro era l’esistenza della “mente criminale”,il pericoloso soggetto nato per uccidere.
Altra parte del successo delle neuroscienze, invece, è dovuto principalmente al forte impatto emotivo che da esse ne deriva. Impatto emotivo dovuto alla volontà dei singoli di poter affidare una determinazione così importante a una macchina, piuttosto che a una persona.
L’innata volontà del singolo di preferire che un giudizio non sia affidato a un uomo, ma a un computer che, popolarmente, è potenzialmente in grado di raggiungere la perfezione.
La scienza è di per sé in costante movimento. Non è un elemento cristallizzato. Ciò che possiamo trarre da questi studi non è, quindi, una certezza, ma una verità valida per il momento in cui viene emessa, senza la vana speranza che in futuro non possa essere a sua volta superata o migliorata.
Partendo, dunque, da questo punto, dall’incertezza di questi studi al momento attuale, appare necessaria una precisazione.
Il fatto che le neuroscienze siano una scienza, non comporta di per sé che esse siano una scienza esatta. Quanto è stato detto e osservato nel tempo in materia di libero arbitrio, appare pienamente condivisibile da un punto di vista strettamente giuridico. Il fascino di questi studi non deve portare all’errore di sottovalutare o peggio, dimenticare, quelli che sono i pilastri fondanti il nostro sistema penale. Due teorie sono state avanzate, una intermedia e una totalmente contraria alle neuroscienze. La prima non fa venire meno l’assunto che l’uomo abbia una libertà di scelta, che tutto non si esaurisca nella mera conformazione cerebrale. Ciò è innegabile e insuperabile. Accetta tuttavia i risultati degli studi scientifici, li fa propri. La seconda teoria invece si fonda sul dogma essenziale del diritto, che è la libertà di azione del singolo. Non sembra esserci alcuno spazio per la scienza, neppure ridottissimo. Il libero agire è sempre stato alla base del nostro ordinamento, la libera scelta di contravvenire il precetto normativo fonda l’applicazione della pena. La prima teoria mettendo in discussione la libertà di arbitrio mette indirettamente in discussione l’applicazione della pena stessa. Se ciò che viene richiesto dall’articolo 42 è la libera scelta dell’uomo, volendo accettare incondizionatamente le neuroscienze, si rischia di accettare una presunta costrizione preesistente nel cervello umano.
Se viene meno la libertà, in favore di un’articolata serie di connessioni cerebrali, non sarebbe ipoteticamente possibile applicare la pena.
Questo in quanto ogni scelta dell’uomo non sarebbe di per sé una scelta. Una totale adesione a queste teorie implicherebbe una retrocessione di quella che è stata la scienza giuridica penale dall’800 ad oggi. Riporterebbe il discorso in materia a quella che fu un’accesa discussione dottrinale che ha visto opposte due correnti di pensiero, la scuola Positiva capeggiata da Cesare Lombroso e la scuola Classica.
L’idea che il libero arbitrio fosse illusoria metafisica è stata più volte sollevata, tuttavia come a suo tempo è stato rilevato, l’idea di una sua inesistenza comporterebbe un’importante contraddizione.
Se accettassimo l’inesistenza del libero arbitrio, non si spiegherebbe il fondamento della pena. La scelta, libera, del delinquente, di accettazione del rischio nella violazione del precetto penale. Volendo utilizzare le parole dello stesso Carrara, si rischia di confondere l’arbitrio con la libertà.
Il primo presuppone una reazione distaccata dalla natura umana, la seconda, la libertà, è il suo contrario. Essa indica la facoltà di scelta, libera, fra due opposti.
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
13 Gennaio 2017
21 Novembre 2016
23 Ottobre 2016
1 Ottobre 2016
27 Settembre 2016
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.