Innanzitutto scusate l’ossimoro “americano intelligente”, ma questo lo è. Lo è anche la maggior parte degli utenti che ha commentato l’articolo originale con argomentazioni mai viste nei siti dei nostri giornali, quindi vi invito caldamente a leggerli e, se vorrete, dire la vostra.
Questo mese ho pensato di proporvi la traduzione di un articolo di opinione uscito nella sezione domenicale del New York Times. In questo periodo di eventi che ci coinvolgono internazionalmente o che vanno a colpire la nostra immagine (leggasi spionaggio degli USA e la Cancellieri che fa scarcerare la figlia dell’amica) ho ritenuto che fosse interessante far arrivare ai più questa visione che parte da un italo-americano che qui ha anche passato del tempo, magari potrebbe scatenare delle riflessioni.
“Sì ok blablabla non avevi cazzi di scrivere!”
Ma fatti i cazzi tuoi, tradurre è una cosa seriah. È lungo, ma so che vi piace. Enjoy!
ROMA — Di ritorno in Italia, la prima sera, durante una cena a Milano, ho assistito a due coniugi sulla quarantina che pianificavano la loro fuga da un paese che amavano ma in cui non hanno più fiducia. Hanno sparecchiato, acceso il portatile, e iniziato a cercare immobili a Londra dato che uno di loro aveva ricevuto un’offerta di trasferimento lì. I prezzi li terrificavano ma non li facevano demordere. Hanno un figlio di 10 anni e temono che l’Italia, col 40% di disoccupazione giovanile ed un economia il cui torpore sembra essere diventato la condizione normale, non offra un futuro roseo per lui.
Due giorni dopo e più di 300 chilometri a sud di Milano, incontrai una donna anziana —sulla settantina, credo — che recitava il necrologio del suo paese. Stavo pranzando in cima ad una montagna nelle Marche e tra le salsicce di cinghiale che avevo di fronte e il castello che avevo sopra di me, sembrava di essere in paradiso. “Un museo” mi corresse. “Lei è in un museo/orto.” Disse che questo era ciò che l’Italia è diventata. Ogni anno che passa il suo paese perde grinta ed importanza.
Siccome ho avuto la fortuna di vivere qui e tornarci spesso, sono ben abituato al pessimismo teatrale degli Italiani, al loro talento per il lamentarsi. È una specie di sport, o di opera eseguita con ampi gesti e toni musicali, e, in passato, con la convinzione che comunque non c’era posto migliore dove stare.
Ma il tono stavolta era diverso. L’umore generale era diverso. Chiedete agli studenti italiani che cosa li aspetta dopo la laurea e faranno spallucce. Chiedete ai loro genitori quando o come l’Italia arriverà al giro di boa ed avrete la stessa espressione di perplessità. Si sente parlare di immigrazione nel Regno Unito o negli USA molto di più rispetto a 10 o addirittura 5 anni fa. Si percepisce la mancanza di fiducia nel futuro. Questo mi ha sorpreso e spaventato, perché sono arrivato qui subito dopo lo shutdown del nostro governo, ed ho osservato il malcontento dell’Italia influenzato dai fastidi dell’America, interpretandolo come si fa con la morale di una favola.
L’Italia è l’esempio di una nazione più che cosciente dei suoi problemi, ma senza disciplina e volontà necessarie a sistemarli.
Questo succede quando la politica degenera e rende la governabilità un miraggio, un mito, una barzelletta. L’Italia vive di rendita grazie ai suoi lati positivi invece di utilizzarli per costruire qualcosa, perdendo così terreno nell’economia internazionale dove incontra avversari più motivati. Vi suona familiare? C’è così tanta bellezza qui, così tanto potenziale, ma altrettanto spreco. L’Italia spezza il cuore.
E non è tutta colpa di Berlusconi. La sua recente condanna per frode fiscale con tanto di interdizione dai pubblici uffici non ha scatenato quel senso di liberazione e di nuovo inizio che ci si aspetterebbe. Ha invece costretto gli Italiani a realizzare che mentre lui stracciava tempo, peggiorava le cose ed agiva solo da distrazione comportandosi da buffone, i problemi radicati del paese — l’eccesso di leggi ed una burocrazia intricata che mette i bastoni tra le ruote alle imprese, un sistema di favoritismi che impedisce l’iniziativa, la corruzione ed il cinismo che ne deriva — vanno ben oltre la sua figura.
Nel secondo trimestre del 2013, il debito pubblico Italiano è salito al 133% del PIL, secondo solo alla Grecia. Il calo del PIL italiano di circa 8 punti percentuali rispetto al periodo pre-crisi è peggiore di quello spagnolo e portoghese. Non c’è ancora stata una ripresa significativa, anche se una modesta potrebbe arrivare a fine anno
Ma non servono numeri per misurare quanto l’Italia sia calata. Basta scendere dai treni ad alta velocità (che sono formidabili) o uscire dall’autostrada e prendere le strade secondarie totalmente dissestate, oppure provare a gettare qualcosa nei cestini della capitale, Roma. Sono sempre pieni o traboccanti. Ne ho visto uno vicino alla Camera dei Deputati talmente trascurato che la gente ormai lasciava l’immondizia ai suoi piedi, dove si era formata una montagnola di rifiuti: l’ottavo colle di Roma. In una città dove inefficienze e ristrettezze economiche rispecchiano l’intero paese, l’immondizia è diventata un gran problema, simbolo delle condizioni di salute dubbiose della nazione.
Martedì ho fatto visita al suo dottore, Ignazio Marino. In giugno è stato eletto sindaco battendo il candidato appoggiato da Berlusconi col 64% dei voti, percentuale che lascia trasparire il desiderio di cambiamento degli Italiani. Cinquattottenne, è entrato in politica solo 7 anni fa: prima era un chirurgo specializzato in trapianti di fegato ed ha vissuto per lungo tempo in Pennsylvania.
Mi ha detto che governare Roma non somiglia nemmeno lontanamente alle operazioni a cui era abituato. Mi ha spiegato che è un’emergenza sotto controllo.
Ha l’ufficio migliore del mondo in un palazzo rinascimentale sul Campidoglio, in una piazza progettata da Michelangelo. Ha un balcone vicino alla sua scrivania che si erge come la prua di una nave sugli antichi archi e colonne del Foro Romano. Lì giù si trova il punto in cui si suppone Marcantonio abbia parlato dopo l’assassinio di Giulio Cesare, e appena più in alto il Tempio di Saturno. È una vista incantevole, ma anche un rimando ai fasti del passato, ad una grandezza scomparsa ormai da molto. Da una finestra sull’altro lato dell’ufficio, abbiamo visto dove parcheggia la bici con cui va al lavoro ogni giorno, anche per incoraggiare un nuovo modo di spostarsi in una città la cui struttura accoglie malamente l’alto tasso di traffico. Ma era tristemente sola, i romani preferiscono gli scooter.
Anche se il miglioramento della viabilità è una priorità, c’è un altra questione in cima alla lista, cioè gestire la città in maniera trasparente, puntando ai risultati, contrariamente al modo di fare Italiano, che lui e molti altri cittadini definiscono come basato su alleanze personali, favori ed anzianità invece che sul merito. “Se cambiamo, arriveranno soldi ed investimenti” disse, aggiungendo che era tornato in Italia nel 2006 perché aveva capito che era ora di smettere di lamentarsi dei problemi dell’Italia ed iniziare a trattarli. Dottore, curi la sua patria. Gli chiesi in che condizioni era il paziente, riferendomi a Roma. Fece una pausa lunga e giudiziosa e disse:
“È salvabile”
Gli ho quindi chiesto del lascito di Berlusconi: “Il danno che ha fatto è la cultura che ha creato. La responsabilità non è vista
come un valore”. Berlusconi ha fatto sembrare la vita Italiana una festa adolescenziale, un eterno tiro alla fune con le regole, nel quale conta di più quante volte riesci a scamparla bella piuttosto di quanto riesci a realizzare, col bottino sempre nelle mani dei più viscidi. Ora però è suonata la sveglia ed è arrivato il post-sbornia.
[…]La maggior parte degli Italiani si sente ancora tranquilla nell’affidarsi allo status quo, ma questo atteggiamento non fa altro che aumentare l’incertezza rispetto a ciò che avranno nel futuro. Il futuro infatti è basato sulla flessibilità, sul sacrificio, sullo scatenare onde piuttosto che stare a galla. Tuttavia, continuano a galleggiare passivamente, in buona compagnia dell’europa occidentale e degli Stati Uniti. Paolo Crepet, psichiatra e docente universitario incontrato in viaggio, ha definito questa situazione incredibile: “Siamo un popolo creativo, conosciuto nel mondo per la sua creatività”, ma nei suoi pazienti e alunni riscontra solo inettitudine, niente dinamismo. “Stanno aspettando qualcuno che li trascini fuori, stanno aspettando Godot.” Queste parole mi fecero chiudere lo stomaco. Il risultato di tanti anni di pessimismo è questo fatalismo? È qui che arriverà l’America?
Ho trovato una metafora fin troppo conveniente e facile per descrivere la mancanza di direzioni dell’Italia: segnali stradali non più leggibili, oscurati da sterpaglie ed erbacce non curate. Schizzavo davanti a meraviglie, sfrecciavo in mezzo allo splendore. Ma non avevo idea se stessi veramente andando da qualche parte.
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