Oggi ricorre il quindicesimo anniversario della morte di Carlo Giuliani, “vittima” simbolo delle manifestazioni del G8 di Genova del 2001. La ragione della manifestazione era opporsi al neoliberalismo, con uno schieramento di no-global eretti oggi a martiri nella lotta al capitalismo sfrenato e disinibito, pronto a privare la civiltà dell’umanità e tante altre cose brutte.
Scrolliamoci subito di dosso le questioni giudiziarie: il carabiniere che ha ucciso Giuliani è stato assolto, lo Stato Italiano assolto anch’esso, dalla corte di Strasburgo, nel 2011. Gli avvenimenti della Diaz e l’assenza del reato di tortura in Italia sono una questione interessante, ma è avvenuta il giorno dopo in risposta alla morte di Carlo quindi non ne parleremo in questo articolo.
Stabilito che, secondo la giurisprudenza europea, la morte di Giuliani non è colpa del carabiniere, a chi possiamo dare la colpa? Alla società. Non intendo accusarla con le stesse argomentazioni dei no-global e gente simile, ma voglio imputarle l’eccessiva tolleranza verso manifestazioni legittimate democraticamente quando è proprio la democrazia a mancare in una minoranza irrilevante che scende in piazza per imporre la propria visione alla maggioranza; in quel caso specifico, c’erano persone che si sentivano legittimate a manifestare, anche violentemente, contro quella che ritenevano (e molti di loro sicuramente ritengono anche oggi) una dittatura economica.
Banale dire che se qualcosa non ti va bene, vai a votare contro quella cosa e puoi organizzare assemblee dove argomenti il tuo punto di vista, e se riesci a convincere la maggioranza vedi realizzata la tua visione. Organizzare e partecipare a manifestazioni non troppo diverse da guerriglie urbane non è propriamente funzionale alla vita democratica di un paese.
Come detto prima, Carlo Giuliani è diventato un simbolo, e anche per me lo è: rappresenta un modo di pensare vittimista verso il mondo, che cerca di aggredire uno Stato perché non ci si riconosce e quindi a suo avviso non deve esistere. L’atteggiamento passivo-aggressivo è rimasto in Italia anche dopo il G8 in questione, alcuni esempi sono la Val di Susa coi No-Tav, Milano coi violenti fra i No-Expo, Bologna durante la riunione del centrodestra con chi si autodefinisce Antifa’(a differenza di come vuole farvi credere Fanpage e il carissimo amico Saverio Tommasi, la contromanifestazione non aveva solo ragazzi mingherlini e fighe rastone che intonavano cori scherzosi).
Oggi, come quei manifestanti 15 anni fa, siamo chiamati a decidere da che parte stare, in che modo vivere e in che modo concepire la partecipazione alla vita comune; c’è chi si schiera con Giuliani, perché dicono che il carabiniere non era a rischio e poteva evitare di ucciderlo, perché la repressione della manifestazione andava operata in modo diverso, perché manifestare è un diritto e chi più ne ha più ne metta. Io, personalmente, scelgo di non stare con chi reagisce urlando in piazza contro ciò che non condivide, scelgo di non unirmi a chi fa sfociare un tema in violenza e scelgo di non lanciare un cazzo di estintore contro lo Stato.
Perché quell’estintore non era solo contro un carabiniere, ma era indirettamente anche contro di me, i miei parenti, i miei amici e anche contro Giuliani stesso. A sparare quel colpo non è stato solo un carabiniere, ma sono stato anche io, e lo rifarei.
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