Parlando di opinioni scomode e tabù politici, i nostri cari alleati sull’altra sponda dell’Atlantico non se la passano certo bene. Attori, celebrità, comici, sedicenti “artisti”, e politici che da mesi pontificano contro Donald Trump e la sua campagna per la presidenza degli USA, gridano in sostanza tutti un solo unanime coro: il magnate newyorkese rappresenta l’odio, e supportarlo rende l’elettore/peccatore imputabile di bigottismo, xenofobia, sessismo e tutta la serie di nuovi psicoreati tanto in voga in questo nostro ventunesimo secolo di tolleranza e apertura.
Nel 2016 l’elettore repubblicano è effettivamente un eretico impenitente. Nella mente del pio democratico, la sua simpatia per Trump può essere motivata solo da ignoranza e chiusura mentale. Quando e se egli dovesse uscire allo scoperto e osare giustificare le sue posizioni, il circolo della Laica Inquisizione provvederebbe immediatamente a tacciarlo di pura e semplice malvagità o al limite di ‘analfabetismo funzionale’ (leggasi: pensarla diversamente da me), curabile con un potente esorcismo a base di articoli dell’Huffington Post e video da due minuti che riescono a spiegare come la moglie slovena di Trump sia prova vivente dell’inutilità dei confini nazionali.
Il ‘trumpiano’, abbiamo dunque stabilito, non è un essere umano, in quanto la sua anima è stata inevitabilmente e irrimediabilmente corrotta da malsano scetticismo per una globalizzazione che lo ha costretto a uno schifosissimo salario medio-basso, paura irrazionale per la ReligioneDiPace™, e orgoglio medieval-bigotto per la propria nazione e cultura vista – incredibile anche solo pensarlo, nell’anno corrente – come un qualcosa da preservare.
Ma come si è arrivati a questo clima di ostilità e ostentato disprezzo per l’avversario politico che eclissa persino il dissenso verso l’odiato Bush junior? Nel ‘belpaese’ il trend non è nuovo. La Grande Guerra Fredda Civile del 1994-2012 (quella di Berlusconi VS I Buoni, per intenderci) ha in passato offerto a noi italiani un antipasto che ci concede di guardare ora alle elezioni americane con l’orgoglio di chi ‘ci è già passato’, e rivedere la retorica di intellettuali da salotto e statisti da bar che si prendono a mazzate accusandosi a vicenda di essere incapaci di comprendere cosa è effettivamente meglio per il Popolo, questo sconosciuto. Tuttavia, negli Stati Uniti i toni poco ortodossi di questa campagna elettorale sono una novità, e fanno ben capire quanto Donald Trump sia percepito da supporter e hater come una vera e propria rottura col passato.
Il fulcro dell’odio sta, banalmente, tutto qua. I precedenti candidati repubblicani non sono mai potuti sembrare delle vere alternative a Obama e ai democratici. Qualcuno ha il coraggio di immaginare Romney mettere in discussione gli effetti della globalizzazione sull’economia americana? Si può seriamente pensare che un McCain avrebbe, vincendo le elezioni, mai potuto invertire la rotta dei ‘falchi’ per quanto riguarda la politica estera statunitense in Medio Oriente? Certo che no. Magari gli americani avrebbero rinunciato all’Obamacare. Certamente si sarebbero risparmiati la melensa retorica del primo presidente nero. Forse non avrebbero assistito all’insopportabile caricatura del politico giovane quindi necessariamente capace. Le previsioni sul turn-over di questa campagna elettorale e la differenza con gli scontri precedenti rendono però l’idea di quanto poco tali questioni interessassero a buona parte dell’elettorato negli Stati Uniti.
Qualcosa ora è cambiato. I “razzisti, sessisti, xenofobi” (ovvero chiunque non possa permettersi un appartamento a New York o un debito di 75.000 dollari per un corso in Studi di Genere in una qualche università americana) hanno finalmente trovato un candidato che parli per loro. La maggioranza bianca e cristiana degli Stati Uniti, per almeno otto anni velatamente odiata e accusata di tutti i mali del mondo dall’establishment democratico, può finalmente spezzare la gabbia ideologica in cui aveva perso la possibilità di sentire la propria voce senza essere liquidata come ignorante, xenofoba o, semplicemente, “malvagia”. Persino la nascita dell’Alt-right (banalmente considerato un covo di nazisti, ma che – inspiegabilmente – ha al suo interno correnti libertarie, cattoliche e persino istanze LGBT) è stata causata dall’unico elemento comune a tutti i suoi membri: la progressiva esclusione dal dibattito pubblico, l’incapacità di ascolto del partito repubblicano (e di quasi tutti i movimenti conservatori in Europa), la necessità di uno spazio online in cui poter discutere apertamente di problemi che persino il solo considerare tali è visto come eresia dall’establishment politico.
Nessuna gaffe di Trump potrà mai cancellare questo. Nessuna gaffe di Trump potrà eclissare le accuse di misoginia che metà dell’elettorato ha subito per il solo fatto di non voler supportare la Clinton. Nessuna gaffe di Trump potrà bilanciare i massacri, i bombardamenti e le guerre in Medio Oriente perpetrate da Bush e Obama, le due facce della stessa medaglia che ora il Partito democratico ripropone. Nessuna gaffe di Trump potrà eguagliare il disastro del primo presidente afroamericano che lascia la Casa Bianca dopo aver praticamente riaperto la ferita degli scontri razziali negli Stati Uniti.
È bene anche ricordare che gli errori degli americani vengono spesso pagati da noi europei. L’immensa crisi dei rifugiati (che ha permesso il sorpasso dei Brexiter sui Remainer nel referendum britannico e, giustamente o no, viene considerata parte del problema del terrorismo in Europa), le tensioni con la Russia di Putin, l’instabilità cronica del Nordafrica sono anche figli naturali dell’operato della stessa amministrazione che vorrebbe mantenere il potere per un’altra legislatura. Donald Trump potrebbe certamente rivelarsi essere il megalomane egocentrico wannabe ‘uomo del popolo’ (figura ben nota in Italia). La scelta, sostanzialmente, è tra il rischio di un Berlusconi d’oltreoceano che nella peggiore delle ipotesi darebbe comunque voce a una maggioranza inascoltata, o la certezza dei sorrisi di facciata di un’elite che nasconde solo altri quattro anni della stessa politica estera che in Europa, da sinistra a destra, non ha mai entusiasmato nessuno.
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