Domenica scorsa, le urne d’Oltralpe hanno restituito un risultato ampiamente pronosticabile. In un periodo più che mai caratterizzato, in cabina elettorale, da sorprese e contro-sorprese, le preferenze di voto per le elezioni francesi si sono mantenute coerenti con quanto previsto alla vigilia: i volti che il 7 maggio si troveranno nuovamente l’uno contro l’altro, infatti, sono quelli di Emmanuel Macron e Marine Le Pen.
Già un mese e mezzo fa si parlava del sorpasso di Macron sulla Le Pen, e la situazione si è mantenuta più o meno tale ai seggi. Per alcuni la vera notizia è proprio questa: volendo escludere le recenti elezioni olandesi – che qualche avvisaglia di anomalia l’avevano pure manifestata, poi riassorbita – le ultime tornate elettorali in Europa ed America, incluso il nostrano referendum costituzionale di dicembre, avevano tutte registrato la presenza del fortissimo fattore di imprevedibilità dovuto alla rottura dei tradizionali schemi bipolari in seno al dibattito politico.
In realtà, al di là delle ben calcate considerazioni sull’inattualità dei tradizionali sistemi di predizione elettorale, ciò è da imputarsi al largo anticipo con cui i due outsider – per modo di dire – si sono imposti sulla campagna per le presidenziali: d’altronde, con un governo connotato da crisi socio-economiche ed attentati terroristici, i socialisti non hanno lasciato un bel ricordo di sé al Paese; i gollisti hanno risentito dello scandalo Fillon e forse c’è ancora, in Francia, chi si ricorda di Sarkozy. La notizia, semmai, è che quest’ultimo gigante in rovina abbia fatto così bene, tanto da consegnare a François Fillon il 19,9% dei voti. Specialmente se l’elettorato tradizionale del centro-destra poteva contare su uno sfogo alla sua “sinistra” (ossia Macron) tanto quanto a destra (Le Pen, ma anche Dupont-Aignant, il “neogollista” che si è aggiudicato il 6,4% delle preferenze).
Cosa significa questo? Se lo zoccolo duro del centro-destra ha deciso di non modificare le proprie abitudini elettorali, ne consegue che si sia verificato un grande spostamento di voti da sinistra. Ipotesi che sarebbe coerente con il destino del socialista Benoît Hamon, il cui elettorato è stato letteralmente divorato dai colleghi a destra e a manca, dove a manca troviamo Jean-Luc Mélenchon, che si è portato a casa buona parte del Ps ed un 19,6% complessivo. Al contrario, il comunista Poutou non è stato invitato al banchetto sulla carcassa dei socialisti, attestandosi sull’1,1% già messogli in conto per queste elezioni francesi.
In sostanza, secondo un meccanismo ben oliato e consacrato definitivamente da Donald Trump, si trovano ora in testa due sedicenti outsider che in realtà non lo sono affatto. Del giovane e carismatico Macron è spesso stata ricordata la sua dirigenza di una banca di proprietà dei Rothschild. In realtà andrebbe maggiormente sottolineato il suo ruolo di Ministro dell’Economia e dell’Industria tra 2014 e 2016, anni che in Francia hanno visto il proseguimento di una crisi socio-economica già in atto da tempo, in particolare per quanto riguarda le politiche di welfare. Ma non solo: attivo in politica dal 2002, Macron è spesso stato uomo dietro le quinte della politica francese, tanto da far parte dell’altolocato gruppo di pressione dei Gracques, nato nel 2007 in occasione del supporto a François Bayrou (il quale oggi, viceversa, supporta Macron) e promotore di una sinistra di stampo liberale. Tanto basterebbe per non potersi fregiare del titolo di outsider.
Lo stesso si può dire di Marine Le Pen, figlia d’arte che ha letteralmente ereditato il Front National dal padre Jean-Marie (poi cacciato nel 2015 per “divergenze politiche”, ma soprattutto perché personaggio antisemita e ormai imbarazzante). Il Fn, pur non riuscendo negli ultimi trent’anni ad emergere nel mare del bipolarismo partitico, ha sempre oscillato tra il 10-17% delle preferenze alle elezioni francesi, numeri che una volta presi in considerazione ridimensionano l’attuale boom del partito (solo il +4% rispetto al 2012, +5% rispetto al 2002) e lo rendono più un figlio del suicidio dei grandi partiti, che specchio di una politica di estrema destra “nuova”.
Così contestualizzati i leader scelti dai francesi per concorrere al ballottaggio del 7 maggio, rimane da chiedersi come si muoveranno quei cittadini che non hanno inizialmente optato per Macron o Le Pen. Le indicazioni di voto da parte gollista sono state subito chiare: Fillon ha riconosciuto la sconfitta e, senza alcuna sorpresa a riguardo, ha puntato il dito verso Macron per la vittoria di questo giro di elezioni francesi. La Le Pen sa benissimo di aver bisogno dei voti gollisti, al punto da rinnegare temporaneamente il proprio partito e dimettersi – lunedì in serata – da leader di Fn sino ad elezioni concluse, nella speranza di allargare i suoi consensi. Altrettanto probabile che l’elettorato piccolo, quanto importante e molto fidelizzato, di Dupont-Aignant voterà in massa per la delfina dell’euroscetticismo.
A sinistra, i socialisti più “duri” preferiranno sicuramente astenersi, mentre gli “hamoniani” che non disdegnano un occhiolino al centro voteranno Macron. L’endorsement di Hollande nei confronti di quest’ultimo (che ricambia così l’opposto favore ricevuto lo scorso anno) appare scontato ma sicuramente d’effetto. Diverso il caso di Mélenchon, che ha preferito recitare il ruolo di Ponzio Pilato e Beppe Grillo assieme, giudicando i due candidati come ugualmente dannosi e lavandosene le mani, affidando la scelta ad una prossima consultazione infrapartitica. Le previsioni iniziali sembrano dare per scontato che il suo elettorato si spaccherà a metà fra Macron e l’astensione, ma non è necessariamente detto: il suo programma – oscillante fra l’utopico e il populista, talvolta con tratti xenofobi – ha paradossalmente più punti in comune con il programma di Le Pen che con quello di Macron. Al netto dell’antitesi ideologica tradizionale, non è da escludere che qualche voto di La France Insoumise possa svalicare da un estremo all’altro. Comunque vadano a concludersi queste elezioni francesi, a strapparsi i capelli saranno certamente i comunisti di Poutou e Arthaud (in totale 1,7%), che tra il liberismo e l’estrema destra sceglieranno presumibilmente l’astensione.
Una frazione di voto che andrà probabilmente dispersa è l’1,5% di Jean Lassalle, candidato particolare e “moderato di destra”, più sovranista che liberista ma del quale l’indicazione di voto non è detto che sarà ascoltata, dato che i suoi stanno già abbandonando la barca che affonda. Lo 0,9% dei popolari-repubblicani di Asselineau, marcatamente antieuropeisti, si sposterà sicuramente sulla Le Pen.
Salvo sorprese ed alleanze improbabili dell’ultima ora – o, non sia mai, attentati – sarà uno scontro ravvicinato che, ad ogni modo, vede certamente favorito Macron. A prescindere dalla coscienza dei cugini d’Oltralpe durante la loro seconda chiamata alle urne, nel frattempo a respirare è chi ha già scelto Macron come proprio campione nelle presenti elezioni francesi, in barba all’assenza di un reale programma elettorale, ma forti della fiducia nel personaggio: i mercati.
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