Domenica e lunedì hanno avuto luogo, in tutta Italia, i ballottaggi per le elezioni amministrative svoltesi due settimane fa, mentre in Sicilia si votava per il primo turno in molte importanti città (Messina, Catania, Ragusa, Siracusa). I risultati mostrano una secca vittoria del centrosinistra e la quasi totale sparizione della destra: nei capoluoghi italiani la coalizione PD-SEL prende 16 città su 16 in ballo (le amministrazioni uscenti erano 10 di sinistra e 6 di destra); i comuni superiori a 15mila abitanti vedono il centrosinistra alla guida con 38 città, mentre in 18 vincono liste civiche, in 14 il centrodestra, sinistra e M5S si portano a casa 2 città ciascuno, mentre il centro e la destra 1 a testa (eppure, le precedenti elezioni avevano visto la vittoria del centrodestra in ben 41 di queste città, e il centrosinistra era riuscito ad aggiudicarsene solo 23). In Sicilia la situazione è la stessa: il centrosinistra è avanti ovunque, a Catania vince al primo turno, a Messina ancora non si sa (con due sezioni ancora da scrutinare, Calabrò è al 49,9%), e in molti casi il centrodestra non arriva neanche al ballottaggio.
A cosa è dovuta la débâcle di un partito che fino a poco fa dettava legge in tutta Italia, autore di un recupero inaspettato alle ultime elezioni politiche e fino a ieri presunto azionista di maggioranza del governo di grandi coalizioni?
Il primo fattore da analizzare è senza alcun dubbio l’astensionismo: c’è chi dice che, contrariamente alle previsioni degli esperti, questo abbia finito per penalizzare la destra, e i risultati paiono dargli ragione. Le percentuali di voto in Italia al primo turno sono state del 62,38% (poco, se paragonato alle amministrative del 2008 – le quali però si svolgevano insieme alle politiche!), mentre ai ballottaggi sono calate fino al 48,51% (dati del Viminale, i risultati certificati dal ministero si possono consultare qui). Si urla alla disaffezione dalla politica, ma le percentuali non si sono abbassate più di tanto rispetto all’ultima volta che si è votato solo per le amministrative – e se si considera che al ballottaggio rimangono solo due candidati, l’ulteriore calo è comprensibile. Ad ogni modo, è evidente che gli elettori del centrosinistra siano stati più fedeli di quelli del versante opposto, nonostante l’attuale coalizione di governo non rispecchi in alcun modo gli schieramenti votati in questi giorni, e soprattutto nonostante il “grande inciucio” abbia provocato notevoli critiche da parte dell’elettorato del PD. È altresì indubbio, tuttavia, che la tendenza all’astensionismo vada cambiata, riportando gli italiani alle urne.
Si dice che gli americani in tempo di crisi preferiscano salvaguardare la stabilità politica, premiando chi già si trova al governo: per gli italiani è tendenzialmente il contrario, e questo può aver penalizzato il centrodestra, che aveva molti più sindaci uscenti. C’è anche da dire, però, che – come hanno affermato anche numerosi esponenti del PDL – senza Berlusconi il partito non vince, semplicemente. Colpa di gregari scadenti, che rimangono sempre all’ombra del grande capo e non riescono a farsi conoscere o apprezzare? Possibile, senza dubbio: a Roma, dove Berlusconi si è visto pochissimo, non è bastato l’endorsement dei vescovi italiani a far vincere Alemanno, che al ballottaggio non è andato oltre il 36% delle preferenze.
È il rischio che si corre nel fare una politica personalistica, in cui il “padre padrone” del partito si vede tutto il tempo, e gli altri rimangono relegati al ruolo di comprimari, senza alcuna possibilità di spiccare, di affermarsi. Non a caso lo stesso è successo al Movimento 5 Stelle in Sicilia: a dispetto della presenza di Grillo, in molte città il MoVimento ha perso tra il 20 e il 30% dei voti rispetto alle politiche, risultato che indica chiaramente come i suoi elettori non si fidino del partito per quanto riguarda l’amministrazione del territorio. Processo analogo a quello subito dal PDL, e dalla Lega, altro partito sconfitto nel corso di queste elezioni. Tra gli scandali che hanno causato l’uscita di scena di Bossi, e la mancanza di una figura autorevole, il partito indipendentista italiano si è drasticamente ridotto, perdendo molte sue roccaforti e sparendo praticamente dal panorama politico italiano.
Conclusioni: a parte la gioia per la disfatta della Lega e delle sue velleità autonomistiche, l’unica cosa che mi sento di fare dopo questo voto è dare un consiglio ai neoeletti sindaci del centrosinistra. Lavorate. Fate ciò che avete promesso. Dimostrate di essere diversi da chi vi ha preceduto e non vi dimenticate di chi si è astenuto: si parla di tanta, troppa gente. Cercate di capire il perché e risolvete il problema. Soprattutto, ponetevi una domanda: perché hanno vinto candidati come la Serracchiani, in Friuli, o Marino, a Roma, facendo una campagna elettorale lontana dal loro partito, e mostrandosene autonomi? La sinistra ha vinto le amministrative. Ora pensi al paese, sia a livello locale, svolgendo come si deve il proprio incarico, sia a livello nazionale. Rifondando se stessa.
Per gli sconfitti, poche parole: forse è il caso che cominciate a radicarvi sul territorio, facendovi conoscere lì. Rinunciando all’idea del grande capo. Magari senza insultare gli elettori, vostri e altrui.
A quanto pare, l’intera politica italiana ha bisogno di ricostruirsi da capo. Per capire la gente.
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