Potrà sembrare paradossale ma il legame tra depressione (fino alla sua più tragica conseguenza: il suicidio) e sport praticato ad altissimo livello è molto più forte e presente di quanto si possa pensare. Che si tratti di personalità all’apice della propria categoria sportiva o di più anonimi protagonisti di una disciplina qualsiasi, fa una certa impressione leggere sulla pagina italiana di Wikipedia che sono almeno 92 gli sportivi che si sono suicidati (e molti mancano dalla tragica lista).
In un’epoca dove l’impatto emotivo di un evento sportivo è vissuto in maniera compulsiva e vorace, venendo talvolta dimenticato o essendo spesso già in partenza dimenticabile, gli sportivi professionisti di ogni livello diventano in fretta dei veri e propri miti seguendo il motto latino per aspera ad astra, ma è altrettanto vero il processo inverso, con rapide cadute che spesso segnano indelebilmente l’uomo che si cela dietro al campione.
Andiamo a vedere, dunque, alcuni dei casi più emblematici del passato.
Uno dei casi più recenti (fine settembre 2016) è quello di Giovanni Alvarez, pugile italo-svedese campione UE dei medio-massimi nel 2004, una vita in Svezia e poi un ritorno in Italia, dove però non ha potuto fare nulla contro la depressione, fino alle estreme conseguenze. Altri casi che qualche anno fa fecero scalpore sono quelli di tre calciatori:
Robert Enke, già portiere dell’Hannover e della nazionale tedesca, suicidatosi gettandosi sotto un treno in corsa. La crisi depressiva pare fosse scoppiata dopo il passaggio al Barcellona e i relativi aspetti psicologici collegati (aspettative, ansia, pressioni, paura patologica dell’insuccesso). Oltre a ciò pure l’esperienza drammatica (tre anni prima del gesto estremo) della morte della piccola figlia. Era in cura, ma non è riuscito a salvarsi.
Gary Speed, prima recordman di presenze per un gallese (fino a Ryan Giggs) nella Premier League (535 presenze) e poi allenatore della nazionale del Galles, trovato impiccato nel suo appartamento.
Andreas Biermann, altro calciatore tedesco (ha militato nel St. Pauli) che ha lungo ha lottato contro il male oscuro, tentando più volte il suicidio, fino all’ultimo tentativo a 33 anni. Scrisse anche un libro sulla sua esperienza “Rote Karte Depressione” ispirandosi proprio al caso del collega Enke, ma alla fine anche la sua personale partita l’ha visto sconfitto.
Sempre rimanendo in ambito calcistico un (purtroppo) noto caso coinvolse un ottimo giocatore italiano, Agostino Di Bartolomei, già capitano della Roma con cui vinse anche uno Scudetto, oltre a raggiungere nel 1984 la finale della Coppa dei Campioni persa poi ai rigori contro gli inglesi del Liverpool. Quello fu il punto più alto della sua carriera e, forse, anche l’inizio del problema depressivo (o almeno quello che lo fece esplodere del tutto).
Uno dei problemi comuni a questi e altri sportivi di altro livello parrebbe sia stata l’incapacità di reinventarsi alla fine di carriere così intense, o ancora di sentirsi tagliati fuori da quel mondo che tanto, prima, li aveva celebrati.
Uscendo dall’ambito calcistico troviamo infatti (ex) sportivi di varie discipline che hanno avuto a che fare con la depressione, spesso fino a esiti fatali. Ex ciclisti di spessore quali Luis Ocana (vincitore di una Vuelta e di alcune tappe al Tour de France e in altri giri minori), José Maria Jimenez, già vincitore di 3 maglie di miglior scalatore alla Vuelta, morto per arresto cardiaco a 32 anni dopo un tormentato periodo di depressione post ritiro dalle corse, il caso terribile della notissima storia di Marco Pantani, il fantino Andrea “Mistero” Chelli vincitore anche di un Palio di Siena con la contrada del Drago.
E ancora Mike Bernardo, kickboxer e pugile sudamericano sconfitto dalle terribili crisi di ansia di cui soffriva, la giovane pallavolista Giulia Albini e molti altri ancora.
Ci sono però anche i casi di chi lottando con la malattia, ce l’ha fatta a uscirne e uno dei casi più recentemente emersi dalle cronache è quello riguardante Gigi Buffon, in crisi dopo la separazione da Alena Seredova a cui si aggiunsero le normali pressioni sportive e la vicenda del suo diploma di maturità rivelatosi falso. In ogni caso, dopo cure specifiche e l’appoggio di famiglia e società sportiva di appartenenza è riuscito a superare o almeno a convivere con un problema che pare davvero non fare distinzioni tra persone di successo o meno, che si tratti di attività sportiva o di altri ambiti della vita di ognuno.
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