Esauritasi l’attenzione per i postumi della sbronza elettorale americana, l’opinione pubblica europea si sta accorgendo di quello che è – da mesi – il secondo tema più caldo dell’attualità statunitense: i movimenti contro la Dakota Access Pipeline. Se la costruzione di oleodotti è passibile di provocare spesso e volentieri proteste e controversie, la specifica situazione è resa unica dal fatto di essere il solo evento capace di riunire un’intera nazione pellerossa in tempi recenti.
La protesta è nata nella primavera di quest’anno, in seguito al via libera per la costruzione della Dakota Access Pipeline. Si tratta di un oleodotto sotterraneo la cui lunghezza prevista è di 1886 Km, con un percorso che attraverserà quattro Stati – i due Dakota, l’Iowa e l’Illinois. Lo scopo del progetto è quello di “aiutare gli Stati Uniti ad ottenere l’indipendenza energetica”, fornendo un mezzo più rapido per il trasporto del combustibile dai campi petroliferi di Bakken alle raffinerie, contribuendo così a ridurre i costi e desaturare strade e ferrovie.
Com’è facilmente intuibile, il percorso della Dakota Access Pipeline include una serie di riserve indiane ed interseca le falde acquifere dei fiumi Missouri e Mississippi; il potenziale impatto ambientale, unito alla mancanza di consultazione con le tribù residenti in quei luoghi, ha condotto da una parte alla protesta e dall’altra ad una commissione d’inchiesta da parte dell’EPA (Environmental Protection Agency) e del Dipartimento degli Interni, poi affidata agli Army Corps of Engineers.
La riserva Sioux di Standing Rock è stata la prima a mobilitarsi in tal senso, in primavera, divenendo così lo zoccolo duro di un movimento di protesta che è andato espandendosi al punto da provocare, più di recente, manifestazioni in tutti gli Stati Uniti. LaDonna Brave Bull Allard, Historic Preservation Officer di Standing Rock, ha inizialmente costituito un luogo di “preservazione culturale e resistenza spirituale” alla Dakota Access Pipeline, il cosiddetto Sacred Stone Camp (in lingua madre, Očhéthi Šakówiŋ). L’intento, poi andato a buon fine, era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sui 380 siti archeologici e religiosi che andrebbero distrutti nella costruzione dell’oleodotto, nonché sul potenziale rischio ambientale che, in caso di disastro, provocherebbe danni irreparabili e renderebbe invivibile il territorio storico della popolazione Sioux.
Il 27 luglio il movimento di Standing Rock ha agito per vie legali nei confronti degli Army Corps, chiedendo l’interruzione dei lavori e vedendosi negata la mozione. Dopodiché, con una dichiarazione congiunta, i Dipartimenti di Giustizia, Interni ed Esercito hanno proposto ad Energy Transfer Partners, la compagnia che gestisce la costruzione dell’oleodotto, un’“interruzione volontaria” in attesa dell’esito degli studi federali sull’impatto ambientale. L’azienda ha rifiutato, dichiarando che ogni mese di interruzione dei lavori sarebbe equivalso a 80 milioni di dollari di perdita.
Il 15 novembre gli Army Corps hanno annunciato la necessità di ulteriore tempo per le verifiche, ma nel frattempo è la protesta a farla da padrona nei cantieri interessati e nei resoconti dei media. Alla grande maggioranza della popolazione Sioux e di altre tribù, infatti, si sono via via uniti simpatizzanti da tutto il Paese allo scopo di interrompere i lavori ed alimentare l’eco mediatica che solo ora inizia a farsi realmente viva. In particolare dal 3 settembre, quando la Energy Transfer Partners ha introdotto nei cantieri una security firm privata che, a quanto si racconta, avrebbe utilizzato spray urticante e cani sciolti contro una manifestazione. La Polizia della Contea di Morton ha indagato per accertare le colpe dell’episodio, affermando infine che le proteste non sarebbero state “al 100% pacifiche” come sostenuto dalla Allard. Altri esponenti della pubblica sicurezza hanno ritenuto le misure di sicurezza eccessive e la reazione ingiustificata.
Da quel momento, in ogni caso, la situazione è andata inasprendosi e la protesta ha effettivamente assunto toni più violenti: la situazione attuale vede fronteggiarsi un folto numero di manifestanti e la polizia anti-sommossa. I primi mantengono le proprie posizioni nonostante gli ordini di sgombero; la seconda è in questi giorni accusata di “trattamento brutale” dei manifestanti, con particolare riferimento all’uso indiscriminato di proiettili di gomma e gas lacrimogeni, nonché di idranti nelle condizioni climatiche avverse dell’inverno del North Dakota. Gli Army Corps hanno recentemente intimato ai manifestanti di abbandonare i campi che si sono stabiliti attorno ai cantieri e di continuare la protesta in una “free speech zone” designata.
Energy Transfer Partners ha chiaramente un parere opposto sulla costruzione della Dakota Access Pipeline: la compagnia ha infatti rilasciato un numero di documenti sulla sicurezza generale degli oleodotti, oltre che di questo in particolare, sottolineando il rispetto degli standard e dichiarando di aver condotto le indagini preliminari senza riscontrare impedimenti di sorta.
L’azienda afferma inoltre che questo progetto da 3,7 miliardi di dollari creerà 40 posti di lavoro permanenti e 8mila – 12mila temporanei, oltre alla previsione di 156 milioni di entrate fiscali per gli Stati interessati dalla costruzione. Proprio questi numeri hanno condotto alcuni sindacalisti americani, in una logica che al lettore europeo può apparire controversa, a formare un movimento di contro-protesta che sostiene la compagnia nella costruzione della Dakota Access Pipeline, in quanto opportunità da non perdere per la creazione di posti di lavoro.
A prescindere dalle ragioni dell’una e dell’altra parte, sarà il Corpo Ingegneri dell’Esercito a confermare o meno la fattibilità del progetto – il cui completamento si attesta al momento intorno all’87% – e, in tal caso, l’eventuale necessità di deviare il percorso della Dakota Access Pipeline in uno o più punti. Non è escluso, infatti, che il bisogno di nuove indagini ambientali possa riproporsi in diverse aree. In attesa della fine dei rilevamenti resta da osservare l’evoluzione popolare del movimento di protesta, che si fa più caldo man mano che il palinsesto mediatico americano ed europeo si libera lentamente dal monopolio delle ultime elezioni presidenziali.
Gli Army Corps hanno dato ieri un responso sulla situazione, affermando che il modo migliore per completare il progetto “responsabilmente e velocemente è l’esplorazione di percorsi alternativi”, dando di fatto il proprio diniego alla prosecuzione dei lavori lungo il tratto finale dell’oleodotto, che passerebbe sotto il Lago Oahe e nei pressi di Standing Rock. Energy Transfer Partners ha dichiarato il suo dissenso a tale opzione, mentre i manifestanti festeggiano in un clima di grande ottimismo, pur rifiutando di ottemperare all’ordine del Governo federale di lasciare i terreni occupati. Il team di transizione del Presidente eletto Donald Trump ha dichiarato pieno supporto al progetto dell’oleodotto e afferma che il caso sarà riesaminato in seguito all’insediamento.
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