Nella teoria letteraria, si dice che ogni racconto ha come scopo quello del perseguimento di un oggetto che viene caricato di valore in quanto fine ultimo della ricerca del personaggio. Nel noir questo oggetto corrisponde spesso alla verità, ma non sempre: a volte, in base alle caratteristiche interne al romanzo stesso, il protagonista ambisce a scopi non socialmente condivisi o condivisibili: si pensi al sottogenere dell’hard boiled, in cui il detective ottiene quel che vuole comportandosi non diversamente dal “cattivo” che tenta di catturare.
Ciononostante, se il lettore vede realizzato il proprio desiderio, appagherà anche l’ansia di immedesimazione e quindi la possibilità di trasferire sul piano del reale le risposte che ricerca nel mondo della fiction. Poiché ogni desiderio è sintomo di mancanza, la sete di verità espressa nel noir denuncia la sfiducia dell’uomo, pervaso da un senso di insicurezza, nei confronti degli apparati istituzionali. La società, la cultura, la comunicazione di massa provocano e acuiscono quella distanza tra esperienza e conoscenza, che nutrono la cultura del dubbio e, appunto, del sospetto.
Le teorie del complotto nascono da questa aporia: il tentativo di coniugare la realtà con la verosimiglianza. Cercare una spiegazione razionale e scientifica a fatti non ancora esplicabili comporta necessariamente uno scarto; se questo viene riempito dalle istanze narrative, che sostituiscono l’elemento fictional al factual, allora qualunque teorizzazione diventa valida per la sola possibilità di formularla. Il noir dunque come spiraglio di fuga da un mondo esperibile quasi solo indirettamente, e al tempo stesso come spazio entro cui confinare questa tensione verso la verità.
E dunque, perché il complotto? Perché l’uomo non accetta il fallimento del suo mancato controllo sul mondo e ripiega su spiegazioni “di comodo”, anche a costo di rinunciare alla propria salute psicologica. Si pensi al trionfo del “realismo isterico” che ha caratterizzato buona parte della letteratura del secondo Novecento; trame lunghissime, pagine e pagine di mise en abyme, descrizioni complottistiche e personaggi maniacali e paranoici. Al tempo stesso, però, il complotto permette di ricondurre l’ignoto (“il perturbante”, direbbe Freud; ciò che ci è familiare e ci risulta attraente ma al tempo stesso ci ripugna inspiegabilmente) a un territorio comprensibile e avvicinabile.
Il complotto si configura quindi come una menzogna consolatoria socialmente accettata e condivisa, tanto da prevaricare sulla verità e comportare conseguenze concrete: ne deriva che l’onnipresenza dell’ipotesi del complotto non è sintomo di una società paranoica, bensì di una società che ha perduto il valore di verità. Lo ha perduto non perché si sia corrotta, ma semplicemente perché ha moltiplicato esponenzialmente la rilevanza del non esperibile. Tutto ciò su cui il mondo del reale poteva cedere il passo al mondo del possibile apparteneva alla sfera del non osservabile. Una narrativa che porrà al centro la ricerca della verità, ostacolata dalla messinscena di continui complotti, avrà dunque successo proprio per mostrare l’impossibilità di ricondurre ad unum la molteplicità del reale.
La funzione consolatoria del complotto assume nella letteratura di indagine il carattere di intrattenimento. Ciò ovviamente non implica disimpegno ed evasione, anzi; i temi trattati risultano spesso ostici e scottanti per l’attualità. In questo senso la letteratura di indagine si allontana dal giallo classicamente inteso, che mira a ripristinare ordine e razionalità; e si avvicina invece al noir che aspira a riportare su carta il caos del reale. Appannaggio più della fiction televisiva che di quella romanzesca, più del lavoro di squadra che dell’acume del detective, la tendenza rassicurante di certa letteratura tenta semplicemente di fugare il disordine della vita reale per rifugiarsi nella certezza della giustizia: su questo si sviluppa l’elemento di intrattenimento, che consiste nella messinscena di drammi pubblici o privati di immani dimensioni per poter tranquillizzare il lettore/spettatore. Nessuna possibilità di rovina per lui: ci pensa lo Stato a intervenire, con i suoi apparati di sicurezza pubblica ben organizzati. È lontana dunque la condanna degli stessi settori statali, ravvisabile in certa narrativa noir a sfondo storico.
Lo stesso discorso è applicabile per un’altra importante tematica del genere: la morte. Grande protagonista dell’informazione cronachistica, essa è sempre presente anche nella fiction letteraria e audiovisiva. Ciò accade perché la cultura occidentale, allontanatasi dalla realtà concreta a favore dei simulacri virtuali, ha bandito l’esperienza diretta del “morire” dalla propria realtà, veicolando invece l’immagine di una morte già avvenuta, asettica, distante, pronta per il consumo. Il bisogno di morte, del suo verificarsi, è sopperito proprio da questa grande quantità di narrazioni che la affrontano. A ben vedere, non esiste un complotto perturbante più forte della morte: tanto a noi vicina, perché inevitabile, quanto più respinta e allontanata; tanto più nascosta, quanto più necessaria.
Come viene presentata la morte nei prodotti massmediatici dell’era della spettacolarizzazione? In maniera “agita” e violenta, proprio in alternativa alla morte naturale, pudica e preconfezionata propinata dalla cultura moderna. L’eccesso, spesso tradotto nella crudeltà e nell’efferatezza, attira il pubblico nel suo atteggiamento voyeuristico: la rappresentazione sconveniente e socialmente inaccettabile si scontra con l’illusione di autenticità, necessaria per controbilanciare l’occultamento della morte di cui sopra.
Nella letteratura di indagine, al contrario, la rappresentazione della morte soddisfa un duplice bisogno: da un lato asseconda la pudicizia della società, per cui viene mostrata solo in maniera razionale e sensata; dall’altro, appaga misuratamente il bisogno del lettore, che esorcizza così l’angoscia del trapasso. Questo tipo di produzione culturale, inoltre, asseconderebbe le ragioni politiche e sociali secondo cui affidarsi agli apparati di sicurezza metterebbe al riparo da ogni tipo di danno. Evitare le persone losche, le zone malfamate, la droga: tutto concorre alla possibilità di sfuggire gli attacchi personali e gli omicidi, che in certe rappresentazioni massmediatiche – e di conseguenza anche nell’immaginario collettivo – simboleggiano la morte tout court.
Per tornare alle teorie del complotto, l’attacco alle istituzioni, conniventi secondo la cultura di massa con il potere occulto, comporta anche la destituzione degli apparati di informazione. Internet e i massmedia giocano un ruolo fondamentale: dopo aver sostituito la cronaca alla conoscenza, acquisibile tramite esperienza diretta, ora veicolano direttamente una alternativa alle versioni emanate dai canali ufficiali. Le narrazioni così diffuse generano credenze nuove e un effetto di immedesimazione tale da contribuire al loro radicamento. Se tramite il complotto viene propagata una menzogna verosimile, essa probabilmente acquisirà un valore di verità per chi non possiede gli strumenti intellettuali atti a distinguere verità e finzione.
È il caso dei social network, degli organi di informazione controllati, dei governi dittatoriali e di certa propaganda televisiva, che infonde nel pubblico una fiducia cieca per le prove scientifiche – si pensi ai crime drama – e mette da parte le testimonianze dirette, meno affidabili. Con l’adozione dei paradigmi della fiction per un’analisi rigorosa del mondo reale, chiunque può assurgere al ruolo di investigatore e inventare la propria verità di comodo; non perché il mondo della narrazione ostacoli la capacità critica dell’individuo – anzi, spesso avviene l’esatto contrario -, ma perché quelle griglie interpretative attraggono lo spettatore (post)moderno, privo di certezze: chi non vorrebbe vivere in un mondo in cui il colpevole viene assicurato alla giustizia in poche ore o un tumore – che nei medical drama assume il ruolo del Male da sconfiggere – viene curato nel tempo di un episodio televisivo?
Un mondo, insomma, all’altezza della compressione spazio-temporale di cui parlava Harvey, in cui alla scienza sia riservato il ruolo di deus ex machina e, nell’epoca della crisi delle religioni, di idolo indiscusso. In un contesto di continui complotti e cospirazioni non c’è spazio per il ragionamento logico, ma serve acume psicologico e capacità deduttiva per ricercare la verità, stanarla e riappropriarsi così della realtà irrimediabilmente perduta.
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