(Marchetta: questo articolo, rivisto e corretto, fa parte del mio ebook nostalgico-demenziale”Anni ’90 – Dagli 883 a Carmageddon”. Se vi interessa, lo trovate a 0.99€ su tutti gli store di ebook).
Come ho già trattato negli scorsi articoli sul tema (link), gli anni ’90 spesso e volentieri sono derivativi degli ’80. E’ il caso anche dei videogiochi, in particolare dei cosiddetti “arcade”, tra i quali i Picchiaduro a Scorrimento per alcuni anni fecero la parte del leone.
Potrei parlare di come i vecchi cabinati, che un tempo radunavano folle di giovani e diversamente giovani in sale giochi e bar da diversi anni a questa parte sopravvivono ansanti e malcagati solo in bowling di periferia e in bettole rivierasche frequentate da spacciatori. Ma, in questi articoli, l’occhio vuole essere sempre e solo indietro. Pertanto parlerei di un genere, nato e diffuso negli ’80, che ha visto i suoi anni d’oro nei primi ’90. Se oggi hai meno di 20 anni, è roba che avrai sentito a malapena nominare. Ma per non pochi sti giochi hanno costituito un’ingente perdita di tempo e di monetine. E, soprattutto, è roba che come poche altre racchiude in sè lo spirito dei ’90.
Sono i cosidettti “picchiaduro a scorrimento”, genere che ha anticipato i “picchiaduro a incontri”, ma che ha retto meno la prova del tempo e dopo brevi anni di fulgore è quasi completamente sparito dalla circolazione. Double Dragon, nel 1987, diede il là a una serie di giochi che tenteranno di imitarne la struttura ludica (un tasto per il salto, uno per i pugni, uno per i calci (facoltativo), pochissima duttilità di mosse, un sacco di pesci piccoli da prendere a sganassate e qualche boss poco credibile) ma pure l’identità visivo/concettuale (metropoli degradata piena di brutti ceffi).
FINAL FIGHT (1989)
Final Fight è un classicone dei side-scroller, semplicissimo da giochicchiare (si tratta perlopiù di menare fendenti a destra e manca smanacciando un bottone, del resto) ma non per questo non divertente e appagante da portare a termini, con nemici progressivamente più cazzuti e boss sempre più duri da tirare giù. Tuttavia, il fascino semplice e brutale che portò al successo Final Fight è costituito dalla disarmante banalità dei suoi clichè. La trama assolutamente basilare (dei gangster cattivoni rapiscono la ragazza e tu, nei panni dei panni del padre sindaco bodybuilder, del fidanzato belloccio o del giustiziere misterioso la devi salvare aprendo il culo a tutti i brutti ceffi) e la caratterizzazione semplicistica ma così fottutamente ultimi 80/primi 90 dei cattivi (il capellone zoticone, il samurai, il poliziotto corrotto, il pazzoide nerboruto e via andando) ti prendono al volo, così come l’essenzialità e l’assoluta non originalità delle ambientazioni (periferia degradata, metrò, localacci, azienda mafiosa) lo fanno sembrare, più che una citazione ai B-movies holliwoodiani, quasi una presa per il culo.
Curiosità: nella versione per Super Nintendo, alcuni personaggi femminili sono stati trasformati in punk, senza cambiare però le animazioni, con effetti involontariamente comici dato che sembra di pestare dei ballerini effemminati conciato come Sid Vicious. Il personaggio di Haggar, montagna di muscoli, è inoltre considerato, pare, un’icona gay.
STREETS OF RAGE (1991)
Assolutamente derivativa da Double Dragon e Final Fight per giocabilità (botte da orbi senza troppe complicazioni) e identità (ancora una metropoli fetente, ancora una gang criminale, ancora l’eroe giustiziere e spaccaculi, con i blue jeans di ordinanza), questa serie della Sega si mantiene comunque su un buon livello di qualità media e, dal punto di vista estetico, riesce a restituire ancora meglio dei propri predecessori il gusto estetico per la decadenza metropolitana con atmosfere (visive e sonore) di cupo degrado misto a rutilanti sprazzi tecnologici che fanno sembrare la città una via di mezzo tra Milano e Tokyo.
GOLDEN AXE (1989)
Ancora un mucchio di mazzate lungo dei fondali che tendono a ripetersi (il genere non consente molta differenziazione in questo senso eh). Stavolta, però, si va di fantasy, sebbene non manchi il gusto della stilizzazione trash che è marchio di fabbrica del genere, e quindi vi trovate alle prese con barbari, scheletri, creature vagamente demoniache e compagnia danzante. Sembra un gioco diverso da Double Dragon e compagnia bella, ma di fatto non cambia praticamente un cazzo, però potete scegliere come personaggio un nano che mena fendenti come uno psicopatico allo stadio, vuoi mettere?
I primi anni ’90 videro quindi una fioritura di ottimi picchiaduro a scorrimento, che fecero a presto a diventare popolarissimi tra sale giochi e trasposizione in console, generando un’inevitabile onda di sequel discutibili, giochi di merda tratti dai film e altri pessimi tentativi di imitazione. Che presto finirono per portare il genere a una fase di stanca (stesso discorso per i platform 2d, di cui ho parlato qui) da cui non si riprenderà mai: se infatti i picchiaduro “a incontri” da Street Fighter 2 in poi diventarono molto più popolari, arrivarono poi giochi come Metal Slug a fare proprio lo schema di gioco “a scorrimento”, sostituendo però le scazzottate con le sparatorie. E poi le sale giochi sono scomparse e i ragazzini hanno iniziato a giocare a Call Of Duty, ma quello è un altro discorso.
I giochi recensiti sopra, a parte il valore nostalgico, non hanno retto all’inclemente prova del tempo, e se si tenta di giocarli oggi si finisce per forza di cose delusi dalla meccanica di gioco ripetitiva e semplicistica e dalle animazioni grossolane; se avete però un certo tipo di sensibilità verso il trash anni 90, le atmosfere restituiti dai comparti video e audio di giochi come Final Fight o Street of Rage conservano il loro fascino per i buongustai che lo sanno cogliere.
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