Salve a tutti e ben ritrovati all’appuntamento con la filantropia, l’ottimismo e la fede in nostro signore Jesù Cristo.
Com’è facile (ma non troppo per alcuni) intuire dal titolo, oggi tratterò della cecità. Ovviamente in senso metaforico. E lo farò, tanto per cambiare, tramite gli occhi (lol) di due grandi autori lontani sia per stile che per tempo e luogo.
Il primo libro di cui vorrei parlarvi si chiama “Cecità” e appartiene ad un premio Nobel per la letteratura. Un certo José Saramago.
La trama? In un luogo e tempo non specificati la cecità inizia a diffondersi come un’epidemia. La vista delle persone svanisce e viene sostituita da un biancore lattiginoso. Perché? Non si sa. Ma il terrore si diffonde e i primi contagiati vengono messi in quarantena. Ed ecco che le prime vittime vengono rinchiuse in niente meno che un manicomio abbandonato.
Luogo inadatto per rinchiudere dei non vedenti? No, se la perdita della vista è intesa in maniera simbolica. A confermare la loro follia mi pare che contribuisca anche il colore bianco che annebbia i loro occhi. Il bianco, se la memoria non m’inganna, è stato usato da non pochi come simbolo di follia. Mi viene in mente la scena finale de “Lo strangolatore di Boston” di Richard Fleischer. Forse anche il colore della camicia di forza contribuisce a darmi quest’impressione. Se è così bene, se no amen. Il punto è che questo volume è un autentico capolavoro.
Tra aforismi, metafore e riflessioni sull’uomo e sulla vita di tutti i giorni l’autore ci denota quella che è la razza umana. A differenza di altri però, lo fa senza quella forte misantropia di fondo, lo fa in maniera piuttosto oggettiva. Tutte le brutalità e le ingiustizie commesse dall’immaginaria popolazione dell’autore non stupiscono. E sapete perché? Perché sono delitti che l’uomo compie ogni giorno contro se stesso. Brutalità e stupidità a cui siamo fin troppo abituati.
In ogni caso una speranza di fondo c’è. Vana, ma c’è. Non mi ricordo chi ha detto che in ogni epoca la stupidità della maggioranza viene limitata dall’intelligenza e dalle azioni di otto persone. Ora, possiamo discutere quanto volete sui numeri, ma il messaggio di fondo secondo me è più vero che mai. E Saramago lo sapeva.
Comunque sia quello che sto per dirvi l’ho già detto altre volte, ma lo ribadisco: “sintetizzare” libri di questo calibro non è mai semplice vista la loro complessità, per cui non vi resta che leggerlo per scoprire altro.
Prima di concludere con Saramago vorrei farvi presente una scena all’interno del romanzo. Piccola premessa: non so se l’autore l’abbia descritta consciamente o inconsciamente (anche se son più propenso verso la prima) o se ho esagerato io con l’interpretazione, però mi sembra geniale. Durante la quarantena nel manicomio tra i soldati che vigilano i contagiati si diffonde il panico quando vedono una massa di orbi uscire per prendere il cibo. Un soldato fa fuoco e viene seguito dagli altri. A questo punto l’autore si ferma su un dettaglio: il latte (simbolo di cecità visto che lo scrittore stesso all’inizio del volume ci tiene a specificare che il biancore che offusca la vista delle persone è lattiginoso) che si mischia sul pavimento col sangue. In poche parole quando la ragione perde la vista va sempre a braccetto con la violenza.
Pic related.
“The eyes are useless when the mind is blind.“
Unknown
Il secondo capolavoro di cui voglio parlarvi? Vi do degli indizi per capirne l’autore:
Eh sì, è Shakespeare. L’opera in questione è “Re Lear”.
Ammetto che è la prima tragedia che leggo del genio inglese. E devo dire che ho capito perché è considerato un grande. Questo scritto è fenomenale.
Non voglio darvi troppi dettagli anche perché la trama è meno complicata rispetto al libro del portoghese e vorrei evitare di rovinarvela. Quello che vi dico è che c’è un re la cui mente ha smesso di vedere. Ad accompagnarlo nella sua sventura un conte in analoga situazione, solo che a lui hanno cavato anche gli occhi. Tanto non gli servivano più (“The eyes are useless when the mind is blind.“). Inutile aggiungere che tutto ciò porta sconvolgimenti, tradimenti e morte. E solo dopo questi simpatici episodi i protagonisti guardano chiaramente la realtà.
A chi non è mai successo di fare una cazzata agendo d’istinto pensando che la realtà fosse un’altra?
Tra piccoli monologhi e meravigliose descrizioni (il pubblico elisabettiano doveva immaginarsi gli ambienti essendo la scenografia molto povera) vi perderete nella grandiosità di queste 150 pagine (circa).
Scusate se ho usato a sproposito la parola cecità. Anzi no, è la mia rubrica e scrivo quel cazzo che mi pare. Cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità cecità.
Scherzi a parte un grazie di cuore a tutti i miei lettori. A voi la citazione del mese (che poi è la seconda di sto mese ma ormai ha preso sto nome):
“Il cristianesimo dette da bere a Eros del veleno − costui in verità non ne morì, ma degenerò in vizio.”
Friedrich Nietzche, tratto da “Al di là del bene e del male”.
13 Dicembre 2013
2 Ottobre 2013
29 Settembre 2013
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