Londra, 1997. John Terry siede nella sua stanza. È nervoso. Ha diciassette anni e, nonostante le proteste di sua madre, ha lasciato la scuola per giocare a pallone a tempo pieno. Da qualche tempo squadre dai nomi altisonanti si interessano a lui. La sua famiglia è stata invitata da Alex Ferguson a fare un tour dell’Old Trafford. È stata una giornata magica: autografi, foto con i trofei in bacheca, incontri con i giocatori. Il Manchester United è la squadra per cui lui, suo fratello Paul e suo padre Ted hanno sempre tifato e, negli ultimi anni, domina il campionato inglese. Ma se in quel preciso momento non ha il coraggio di andare a parlare con suo padre, è perché la notizia che deve dargli può essere davvero sconvolgente per un tifoso sfegatato. John sta per firmare il primo contratto da professionista della sua carriera. Sta per rifiutare il Manchester United.
Fin dalla più tenera età, John passa la settimana ad aspettare il weekend, perché weekend significa football. La domenica, lui e suo fratello Paul accompagnano il padre Ted Terry a giocare per la sua squadra di Sunday League, con la scusa di guardare la partita. In realtà, John e Paul passano quei novanta minuti a giocare con gli altri bambini. La prima squadra di John è il Comet, dove gioca con Ledley King e Bobby Zamora. Per qualche motivo, la squadra è molto seguita dagli scout. Si fa avanti il West Ham, in cui John resterà dagli undici ai quindici anni. Bob Dale, che allena le giovanili del Chelsea, lo vuole ad ogni costo, ma la prima cosa che fa è spostarlo da centrocampista centrale a difensore. La prima partita in quella posizione finisce 3-0 per i Blues. John viene nominato uomo-partita. Non giocherà mai più in un altro ruolo.
I primi anni al Chelsea non sono dei più facili, anche a causa di alcune ombre caratteriali che lo porteranno ad essere protagonista dell’interesse della stampa nell’arco di tutta la sua carriera. Il suo debutto tra i professionisti arriva in Coppa di Lega contro l’Aston Villa nel 1998, quello in Premier League nel Boxing Day dello stesso anno, contro il Southampton. Già un anno dopo, avendo collezionato 23 presenze e ottime prestazioni, viene nominato giocatore dell’anno per il Chelsea. Stamford Bridge inizia a vedere in lui una leggenda ed un simbolo. Nella stagione ’04-’05, a guidare i Blues è un certo José Mourinho, che lo nomina immediatamente capitano. Scelta a dir poco felice: al termine di quella stagione, il Chelsea vincerà la Premier League per la prima volta in cinquant’anni e con un record difensivo impressionante. Tra le altre cose, John viene votato miglior giocatore del campionato.
La strada di un calciatore è, per i più fortunati, lunga e ricche di emozioni. Spesso significa cambiare spesso maglia e città, ma più raramente qualcuno diventa una bandiera da legare indissolubilmente al nome di una squadra. John Terry, che ha sulle spalle diversi scandali giornalistici, quattordici trofei maggiori e tre nomination da giocatore dell’anno, conta più di 700 presenze, 578 delle quali come capitano. E una sola maglia. La maglia che non ha abbandonato nemmeno dopo il tragico scivolone di Mosca nel 2008, che gli costò la Champions League. Nemmeno dopo essersi preso la sua rivincita ed aver conquistato l’Europa nel 2012. A Londra, per questo, lo chiamano Mr. Chelsea. Perché la sua scelta è sempre stata la stessa. Fin da quel rifiuto al Manchester United, all’età di sedici anni, seduto nella sua cameretta.
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