Nel giro di quest’anno la sinistra se l’è vista con, non necessariamente in quest’ordine, Brexit, Trump e l’ascesa dell’AfD che in Germania diventa sempre più importante, oltre ad aver scongiurato per il rotto della cuffia l’elezione di un nazista in Austria. A questi vanno aggiunti poi la vittoria del “No” al referendum italiano, più il probabile botto che farà la destra alle elezioni francesi del prossimo anno. Per come le cose stanno ora, un po’ dappertutto la sinistra o le prende sonoramente o ci va abbastanza vicina da dover cominciare a preoccuparsi. Come se non bastasse, in questa situazione si è messa in mezzo pure la discussione su questa fantomatica “post-verità“, che è un modo buono come un altro per dire che ad oggi a fare opinione non sono più i fatti ma tutte quelle storie che potrebbero essere fatti, e lo stato d’animo che questi ci generano. Insomma: parlare di post-verità vuol dire sostenere che c’è una grossa fetta di popolazione che si inventa favole, se le racconta per conto proprio, si arrabbia per quelle favole e poi nella cabina elettorale punisce il sistema perché quelle favole che si è raccontato non gli piacciono.
Possiamo nascondere la testa sotto la sabbia finché ci pare, raccontarci pure noi le favole e convincerci che va tutto bene, ma non c’è proprio niente che va bene. Le menzogne stanno diventando tante e muovono tante opinioni. Ed è solo la sinistra a prendersela per un semplice motivo; vuoi perché ne racconta meno o vuoi perché è meno brava a raccontarne, è la sinistra quella che ci rimette di più.
Non ho in alcun modo intenzione di dire che a tutti devono stare simpatici gli immigrati (di nuovo, non prendiamoci in giro; sono il bersaglio della stragrande maggioranza delle bufale), non ho intenzione di dire che tutti devono andare in strada a festeggiare il gay pride e simili amenità. Ma arrivati ad un certo punto bisogna stabilire cosa è vero e cosa non lo è. E vale per tutti, vale anche per la sinistra.
Le racconta la sinistra, quando dice (per fare un esempio banale) che “il femminicidio è la prima causa di morte per le donne dai 16 ai 44 anni“. Non solo non è vero, ma è proprio completamente falso; per una donna è più facile morire di praticamente qualsiasi cosa che non sia l’assassinio, con l’eccezione dell’intossicazione da alcool, droga, tubercolosi, sindrome della morte improvvisa dell’infanzia e complicanze dovute al parto. E i tumori alla prostata. Ed è una roba che può controllare sul sito dell’Istat ogni scimmietta dotata di una connessione internet.
Le racconta Grillo, quando dice (per fare un esempio banale) che “il virus (dell’Ebola, NdR) potrebbe essere contagioso anche nel periodo di incubazione“, poi clicchi sulla fonte riportata (Focus, e già qui ci sarebbe da fare un bel discorsetto) e vedi scritto in grassetto, grosso così:
Esempi di come NON si può contrarre il virus Ebola:
Entrare in contatto con persone senza sintomi.
Le raccontano a destra quando, senza nemmeno andare a scomodare tutte le boiate che raccontano sulla Kyenge, sui gruppi pro Salvini/Meloni ti viene spacciato un prodotto di satira per una roba vera, con annesse reazioni arrabbiatissime da parte degli utenti.
Tutto questo va senza contare le bufale “trasversali”; quelle, cioè, che non riguardano la politica e toccano un po’ tutti. Parlo, per esempio, di tutti quelli che credono alle menate sui vaccini, categoria di persone che comincia a diventare abbastanza numerosa da mettere in forse l’immunità di branco.
Bisogna stabilire una volta per tutte che per risolvere un problema bisogna riconoscere di averne uno; stiamo costruendo un’opinione pubblica soltanto sulle bugie. E l’unico effetto di queste continue bugie è l’avvelenare ancora di più un dibattito già pesante e difficilmente gestibile. Se vogliamo continuare a raccontarci che va tutto bene possiamo farlo, non è un problema, ma a definire una democrazia non è il fatto che ogni cinque anni viene messa una croce su un foglietto. Una democrazia è tale se il popolo ha un vero potere dato dalla possibilità di influenzare effettivamente qualcosa; un potere che non ha, se è una marionetta pilotata dalla propaganda di altri. La democrazia, in altre parole, ha bisogno che il pubblico sia abbastanza informato da poter fare una scelta consapevole. Per questo quella russa, dove pure ci sono elezioni, non è una democrazia, idem per quella turca.
Quindi sì, parlare di post-verità ha senso. Parlare di chiudere il traffico ai siti che fabbricano menzogne ha senso; finché sarà più conveniente raccontare bugie piuttosto che raccontare la verità, chi può racconterà bugie. E se non sono gli utenti a rendere sconvenienti le bugie, deve essere qualcun altro. Non ha senso invece descrivere la post-verità come una colpa della destra, perché sulla post-verità ci campano tutti, e non possiamo pensare che possa andare avanti un sistema democratico in cui si vota sulle favole. L’unica differenza, fra l’uso della post-verità a destra e a sinistra, è che ai populisti la narrazione di menzogne per trascinare le masse riesce meglio.
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