La malinconia è un sentimento particolare. Agli amici che chiedono cosa ci affligga rispondiamo epigraficamente «Niente» – e non, sia chiaro, perché non siamo in grado di spiegarlo. È che la più naturale delle reazioni di chi ci ama alla nostra sofferenza, ossia parole consolatorie, consigli, profusioni di affetto et similia, rischia di tirarci su di morale. E noi non vogliamo questo. Nel preciso momento in cui identifichiamo e accettiamo la nostra malinconia, accettiamo anche il desiderio di abbandonarci – e persino crogiolarci – nel ricordo e nel dolore che ne è generato. Alla lunga fa male, ma Steven Gerrard si è ritirato soltanto due giorni fa. Perciò concediamoci la nostra dose di sana malinconia, solo finché non passa il magone.
Gerrard debutta in massima serie nel novembre 1998, quando Gérard Houllier lo chiama a sostituire Heggem sul finire di una partita contro i Blackburn Rovers. Non ha che diciotto anni e il suo nome non compare nemmeno sul programma della partita. È la prima volta che viene convocato in prima squadra: un momento catartico nella carriera di ogni calciatore, e specialmente nella sua. Steven infatti non inizia soltanto a giocare in uno dei club più blasonati d’Europa, ma inizia a giocare per la sua squadra del cuore. Il che è molto più importante. È soprattutto per questo che verrà ricordato in seguito, per aver messo sempre la maglia al primo posto, tratto tipico del tifoso molto più che del giocatore. Ma quando il giocatore è anche tifoso, nasce la cosa più rara del gioco del calcio: una bandiera.
Profondamente legato alla città e alla gente che la abita, persino nel più straziante dei dolori che l’abbiano mai colpita, quel ragazzino, anche quando si ritroverà uomo davanti a decine di migliaia di persone che gridano il suo nome, non giocherà mai che per una sola persona: suo cugino Jon-Paul, la più giovane vittima della tragedia di Hillsborough.
Da subito Steven si dimostra un leader molto carismatico, benché la sua grande passione lo porti talvolta ad eccedere in foga, soprattutto contro i più acerrimi rivali del Liverpool: dei suoi otto cartellini rossi in carriera, due arrivano contro l’Everton, due contro il Manchester United (uno dei quali dopo 38 secondi di gioco), uno contro il Chelsea. Il ragazzo ha la tendenza ad essere falloso e dispersivo, gli manca l’esperienza, ma il suo talento è evidente. Nella stagione ’00-’01 è già parte fondamentale del Liverpool dello storico treble (Coppa di Lega, FA Cup, Coppa UEFA), come si evince dalle sue statistiche per quell’anno: 50 presenze e 10 goal gli valgono il premio di Miglior Giovane della Premier League. Con le cessioni di Redknapp prima e di Fowler poi, nel 2002 la fascia di capitano viene assegnata per una sola stagione a Hyypiä. Un pomeriggio di ottobre, quasi cinque anni dopo quella partita contro i Rovers, Houllier guarda Gerrard allenarsi con i suoi compagni e forse capisce che i tempi sono maturi. Nella conferenza stampa precedente il ritorno del primo turno di Coppa UEFA, annuncia ai giornalisti che Steven sarà capitano dei Reds, per Liverpool-Ljubljana e per le partite a seguire. Allora i giornali ne parlarono come di una ‘shock move’, ma la verità è che si stava scrivendo un pezzo di storia del Liverpool. E a noi piace pensare che Gérard Houllier questo lo sapesse.
Nel giugno del 2004, mentre in patria il Chelsea offre 20 milioni di sterline per portarlo a Londra, Gerrard sta giocando gli Europei in Portogallo; qui lo raggiunge Rafa Benitez, che ha appena sostituito Houllier sulla panchina dei Reds, e lo convince a rifiutare l’offerta. Nel maggio di quella stagione, allo stadio Atatürk di Istanbul, Steven guiderà il Liverpool nella leggendaria finale di Champions League contro il Milan. A chi gli ricorda che nemmeno un anno prima stava per firmare per un altro club, risponde con la quieta compostezza che a volte gli manca sul campo, ma mai fuori:
«Come potrei pensare di lasciare Liverpool dopo una notte come questa?»
A dispetto di un proclama così perentorio, è probabile che, col passare degli anni, Gerrard abbia spesso pensato di lasciare Liverpool. Specialmente considerando la caratura dei compagni di squadra che lo hanno accompagnato per un tratto di strada e poi, invariabilmente, salutato: tra i più importanti possiamo citare Michael Owen, Fernando Torres, Luis Suárez, e non ne copriremmo nemmeno la metà. Tra gli innumerevoli elogi di colleghi (Zidane nel 2009 lo definì il migliore al mondo) e tecnici, suonano emblematiche le parole di José Mourinho sul suo conto:
«Ho provato a portarlo al Chelsea, ho provato a portarlo all’Inter, ho provato a portarlo al Real Madrid, ma per me è rimasto sempre un caro nemico»
Ma al netto delle innumerevoli speculazioni, offerte, trattative, al netto degli innumerevoli ‘quasi’ che compongono la carriera di un calciatore, la storia, concreta e reale, è soltanto una: Steven Gerrard da Liverpool non se ne andrà mai. Se non quando, troppo stanco per i ritmi della Premier League ma non abbastanza per ritirarsi, sceglierà di continuare a giocare là dove il Liverpool non potrà mai incontrarlo da avversario: in MLS, negli Stati Uniti. Così, silenzioso come quel diciottenne che entrò al 90’ nel novembre ’98, a discapito del peso del suo nome e della sua eredità, nel novembre 2016 Steven fa un inchino ed esce di scena, lasciando gli ultimi romantici del pallone un po’ più malinconici, un po’ più soli.
Tifo Bologna e Liverpool. Dormo poco, sogno molto.
23 Aprile 2017
19 Aprile 2017
24 Marzo 2017
10 Febbraio 2017
1 Febbraio 2017
Tifo Bologna e Liverpool. Dormo poco, sogno molto.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.