Ennesima vittima di questo spietato 2016, Leonard Cohen è morto a Los Angeles il 7 novembre scorso. Nonostante avesse 82 anni, Cohen non aveva ancora concluso la sua lunghissima carriera da cantautore. Il suo disco You Want It Darker, uscito in ottobre, è l’ultimo regalo che questo gigante ci ha lasciato prima di andarsene.
Cohen nasce a Montreal, in Canada, nel 1934 da genitori di origine ebraica. Dopo aver pubblicato un paio di raccolte di poesie e due romanzi a cavallo fra gli anni ’50 e ‘60, Cohen comincia la sua carriera discografica con l’album Songs of Leonard Cohen nel 1967. I limiti naturali della voce di Cohen passano in secondo piano se confrontati con la bellezza dei testi, brevi ritratti malinconici con una scarno arrangiamento acustico ad accompagnarli. Uscito nell’indifferenza generale, Songs of Leonard Cohen ha acquisito sempre più importanza con il passare del tempo, finendo per diventare il capolavoro della discografia del cantante canadese.
Nel 1969 viene pubblicato Songs from a Room, che ottiene un buon successo di pubblico e riconferma lo stile già espresso nel primo disco. Nel 1971 Cohen si afferma definitivamente con Songs of Love and Hate, in cui i testi si fanno ancora più personali e deprimenti: sono lo specchio dell’animo di Cohen, in un momento di grande disturbo emotivo durante gli anni ’70. Negli anni a seguire la sua carriera prosegue fra alti – I’m Your Man del 1988 – e bassi – Death of a Ladies’ Man del 1977 – alla pari con quella letteraria, più sconosciuta al grande pubblico. Con l’avanzare della vecchiaia Cohen non si ferma, ma continua imperterrito a produrre opere di pregevole fattura fino all’ultimo You Want It Darker, fra i consigli della redazione per i dischi del mese di ottobre.
Cohen è stato capace di trattare con incredibile semplicità temi sociali, l’inevitabilità della morte e l’amore nelle sue infinite sfaccettature. I suoi testi sono caratterizzati da una certa ossessione nei confronti della religione, sottolineata da richiami più o meno espliciti al cristianesimo e all’ebraismo. Ma Cohen non ha una visione del mondo completamente negativa, anzi: in moltissimi dei suoi brani contrappone a immagini deprimenti sferzanti battute ironiche, anche nei confronti di se stesso. In questo modo, la tristezza che avvolge le sue canzoni non è una nebbia oscura che non lascia speranza, ma è più un abbraccio rassicurante, la consapevolezza di non essere soli a questi mondo. Le sue composizioni, spesso frutto di un lungo e ragionato processo creativo, raggiungono un livello superiore della stragrande maggioranza dei cantautori contemporanei. Brani come Suzanne, Famous Blue Raincoat o Bird on the Wire sono delle perle disperse nell’oceano della musica pop, spesso costellato di testi piatti e banali, incapaci di aggiungere qualcosa di consistente rispetto a quanto non sia già stato detto o cantato. La sua abilità nello scrivere probabilmente supera anche quella di Bob Dylan: chissà se ci sarebbero state le stesse polemiche se a vincere il Nobel per la letteratura fosse stato Cohen e non lui.
Leonard Cohen è stato uno dei più importanti cantautori della sua generazione, un poeta applicato alla musica e in grado di influenzare centinaia di artisti fra cui Lou Reed, Nick Cave e Morrissey. In Italia si possono citare fra gli altri Fabrizio De André e Francesco De Gregori, due musicisti che hanno avuto in Cohen il loro principale ispiratore e che gli hanno reso omaggio reinterpretando alcuni dei suoi brani.
Quello che forse è il più grande dono che Cohen ha fatto al mondo è un brano del 1984, Hallelujah, una ballata dolce che si dirama fra citazioni bibliche fino a sfociare in un grande inno all’amore. La versione cantata di Hallelujah è però solo una piccola parte dell’originale versione scritta da Cohen, un poema di circa ottanta strofe. Hallelujah passerà alla storia nella stupenda versione di Jeff Buckley, a tal punto dal venire spesso ritenuto erroneamente come autore della canzone.
La notizia della morte di Cohen è arrivata all’improvviso, ma non del tutto inaspettata. Si sapeva da tempo che la salute del cantante non era delle migliori e, nonostante apparisse in forma, nell’ultimo disco dichiarava di essere pronto ad affrontare l’inevitabile. Se ne va così un musicista monumentale, un cantautore che ci ha lasciato in eredità una discografia che sfocia nella poesia e in grado di scrivere a ottant’anni con quasi la stessa lucidità del suo periodo migliore.
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