Nel libro “Le due culture” Charles Percy Snow riconosce che la separazione fra studi umanistici e studi scientifici sia relativamente recente. In particolare è luogo comune diffuso, per gli studiosi umanistici, ritenere il campo scientifico “manovalanza” a servizio della società. Per questa ragione è difficile che diritto e scienza si incontrino, almeno teoricamente.
Da un punto di vista pratico sono diversi gli ambiti scientifici che possono influenzare il diritto. Questi rilevano, in particolare, dove vita umana e norma scritta si incrociano al punto da rendere i propri confini impalpabili: il diritto penale. Fra i diversi studi, quello che appare senz’altro più interessante è quello delle neuroscienze.
Con il termine neuroscienza ci si riferisce a un insieme di discipline scientifiche, anche disomogenee tra di loro, il cui obiettivo è lo studio del cervello e delle connessioni neurologiche.
Lo scopo di tali scienze è quello di determinare il comportamento umano e, per ciò che riguarda il diritto, comprendere se determinati comportamenti siano attribuibili alla condotta del reo piuttosto che ad una predisposizione innata dello stesso. L’ambizione di questi studi, in ambito giuridico, è quella di sviluppare diagnosi attraverso analisi neuro-cognitive, poter giungere a determinare l’esito di un processo attraverso un semplice esame medico di laboratorio.
Allo stato attuale le tecniche neuro scientifiche sono in via sperimentale, ma alcune sono già familiari, come la cosiddetta macchina della verità; altre, invece, sono meno conosciute, come quelle tecniche in grado di determinare la presenza di memorie nel soggetto.
In particolare, poi, il momento in cui si concretizza una decisione può essere precedente alla decisione stessa. Vi sono alcuni studi in merito, ad opera di Benjamin Llbet, che dimostrerebbero che è possibile prevedere una scelta prima che essa avvenga. In questi esperimenti praticamente veniva chiesto ai soggetti di indicare quando si muovesse un punto proiettato su uno schermo.
Secondo questi studi il cervello emette un cambiamento di potenziale elettrico che precede di pochi millesimi di secondo la consapevolezza del soggetto stesso della decisione. In particolare, l’oggetto di tali studi attiene ai “neuroni specchio”, grazie ai quali non solo è possibile anticipare i movimenti fisici del soggetto, ma anche le sue emozioni.
Sulla base di questa affermazione appare giusto riportare ciò che molti scienziati sostengono: che la mente non sia libera, ma agisca sulla base del cervello. Ciò che diversi studi delle neuroscienze sostengono è, dunque, che la mente non sia altro che un elaborato dell’attività cerebrale innata e che le decisioni siano in sostanza inesistenti. Quello che siamo abituati a ritenere libero pensiero, dovrebbe, secondo le teorie più estreme, dipendere solamente dal modo innato in cui il cervello opera le sue connessioni.
Tornando ora al punto di vista giuridico, vi sono correnti intermedie e correnti totalmente contrarie a questi studi.
Per quanto riguarda le prime sostanzialmente accettano in parte le teorie scientifiche, affermando che, comunque, l’uomo ha una libertà di scelta, che tutto non si esaurisce nella mera conformazione cerebrale.
Le seconde invece si fondano sull’essere stesso del diritto, il cui dogma essenziale è la libertà di azione del singolo. Il libero agire è sempre stato alla base del nostro ordinamento, la libera scelta di contravvenire il precetto normativo fonda l’applicazione della pena.
Le neuroscienze trovano posto in un segmento intermedio del processo penale.
La giurisprudenza ordinaria trae fondamento, in merito all’imputabilità, dal DSM, un manuale di psicologia diagnostica, quindi, con un sistema di riconducibilità alla patologia legato alla presenza o meno di sintomi.
Le neuroscienze, invece, non si pongono come una riconducibilità ex post ad una patologia individuata, bensì all’analisi in sede, una diagnosi legata alla ricerca di una struttura neurologica a cui sia possibile ricollegare i sintomi. Lavoro, la cui conclusione è una diagnosi esplorativa del funzionamento della personalità globale del soggetto.
Nella pratica, le neuroscienze fondano la loro ricerca su complesse tecniche di neuroimmaging, il cui scopo è l’individuazione di alterazioni cerebrali nelle aree temporali e limbiche, fra cui l’ippocampo ed il lobo frontale. Tali anomalie, individuate tramite i più disparati esami clinici come TAC o RMN, sono presenti nella quasi totalità di quelli che vengono riconosciuti come disturbi psichici capaci di influenzare l’imputabilità.
A seguito, quindi, di queste ricerche, la psicologia ha fatto grandi passi avanti che talvolta faticano a conciliarsi con quelli che sono i classici dogmi giurisprudenziali in materia.
Da un punto di vista strettamente giuridico lo studio del lobo frontale appare degno di attenzione. In particolare, da questi studi è emerso che i soggetti con lesioni al lobo frontale sono particolarmente insensibili nel giudizio, nella capacità critica e nel controllo del comportamento.
Tali soggetti non sono incapaci di intendere e volere. Tuttavia, la loro capacità di intendere risulta minata, in quanto non possono controllare i propri impulsi, né comprendere le normali emozioni umane. I soggetti con lesioni nel lobo frontale risulterebbero più portati di altri a commettere azioni illecite.
Questi soggetti non sarebbero in grado di bloccare le risposte automatiche del cervello e, pertanto, azioni imprevedibili risulterebbero prevedibili, in quanto non legate a un ambiente sfavorevole, ma a una questione prettamente genetica. Lo studio di tali anomalie è, inoltre, ricollegabile a disturbi della personalità pre-esistenti e permetterebbe di distinguere soggetti violenti e soggetti non violenti anche se affetti dalla medesima patologia.
Il campo delle neuroscienze, come abbiamo visto, si caratterizza per essere un complesso di scienze e dal punto di vista giuridico, l’interesse non si esaurisce nella neurologia. Appaiono interessanti anche studi di biologia molecolare, in particolare legati alla genetica.
Esisterebbe un complesso di geni, i così detti geni della suscettibilità, che, se presenti in un soggetto, possono a seguito di esperienze traumatiche o particolarmente stressanti, influire positivamente sullo sviluppo di una personalità criminale del soggetto.
Innovazione, calcolabilità, prevedibilità, esattezza di una scienza. Ma tutto ciò si concilia davvero con il diritto penale e la criminologia? Cosa ne è del libero arbitrio? Solo una metafisica illusione, o un cardine del nostro ordinamento penale?
Parte prima.
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
13 Gennaio 2017
21 Novembre 2016
1 Ottobre 2016
27 Settembre 2016
24 Settembre 2016
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
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