Quest’oggi, lasciando perdere per un poco la politica, vi parlerò del rapporto tra Italia e cultura. Mi è capitato tra le mani, giusto l’altro giorno, il rapporto dell’OCSE sulle competenze linguistiche e scientifiche dei suoi membri. È il programma PIAAC, un sondaggio che si occupa di verificare il livello di dette competenze presso la fascia adulta delle popolazioni dei membri dell’OCSE. Come si evince chiaramente dal rapporto, ma anche da quest’articolo del Corriere, noi italiani facciamo non schifo, di più (per i dati precisi, leggetevi l’articolo: è un quadro desolante).
Voi mi direte: ma almeno le nuove generazioni, con internet e tutte quelle informazioni, magari riusciranno a combinare qualcosa di buono, giusto? Sbagliato! Un altro studio, stavolta del Georgia Institute of Technology e dell’International Telecommunication Union, dice che siamo all’ultimo posto tra i paesi occidentali anche per quanto riguarda i “nativi digitali” (e non mi riferisco alla casa editrice di Frullo). Insomma, i nostri adulti non hanno cultura e i nostri giovani non sono buoni col pc. Di nuovo non facciamo schifo, di più.
Certo, qualche passo nella giusta direzione si sta facendo: il digitale è un mercato in crescita (anche se non quanto altrove), e alcuni studi dimostrano che chi possiede un e-reader legge di più. Non sono sicuro, tuttavia, che questo basti a stappare lo spumante: se gli ebook letti sono del tipo “Cinquanta sfumature di grigio” o Fabio Volo, beh, facciamo prima a spararci. E ci sono comunque le polemiche su chi sia migliore, tra digitale e cartaceo – io di mio sono combattuto: sto per pubblicare un ebook, ma non riesco ad abituarmi agli e-reader e al non avere la sensazione della carta tra le mani… Ma sto divagando.
Il punto era, come spero abbiate capito nonostante i miei vaneggiamenti, che culturalmente siamo arretrati. Terribilmente arretrati. Negli ultimi vent’anni i tagli all’istruzione si sono susseguiti a un ritmo allucinante, basti pensare che l’ormai ex ministro Gelmini ha cancellato dal programma dei licei Storia dell’Arte.
Adesso è partito un appello per chiedere al ministro Carrozza (il primo ministro dell’Istruzione ad aver stanziato dei fondi per la scuola pubblica da molti anni a questa parte) di reintrodurre la materia con il Decreto Scuola. Unico problema: non ci sono i soldi – già è stata reintrodotta Geografia (altra materia tagliata tempo fa), e il contante per pagare anche i professori di Storia dell’Arte al momento latita. Toccherà aspettare, e poco importa se i nostri figli non sapranno distinguere un Van Gogh da un Matisse, un Pollock da un Fontana, un Giotto da un Leonardo: con la cultura non si mangia, diceva qualcuno (il caro Tremonti) tempo fa. È stato sputtanato alla grande (e se lo dice Famiglia Cristiana… – non mi vedrete mai più citarla tra le fonti, ve lo prometto, però era eclatante e non potevo esimermi).
Ci sono ovviamente note positive, come i fondi stanziati dalla Puglia per lo studio – che hanno risollevato, nel tempo, il livello d’istruzione della regione al di sopra della media del Sud Italia -, ma nel complesso la situazione è disastrosa, e il governo centrale non aiuta, o aiuta poco, data la crisi.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, basta risalire la pagina e leggersi il verdetto del PIAAC o lo studio del Georgia Institute of Technology. Ora posso spiegarvi il titolo: un ESS, per chi non avesse familiarità con il linguaggio scientifico, è una strategia evolutivamente stabile, termine che si adopera per descrivere una strategia comportamentale che, se prende piede in percentuale sufficientemente alta in una popolazione, non può più essere scalzata da altre strategie. Un termine che io qui sto usando palesemente a sproposito, lo ammetto, ma che può essere utile per illustrare il punto di tutto questo discorso: più un paese ha cultura, più tenderà a valutarla, curarla, produrla, incrementarla. Al contrario, meno un paese ha cultura, più tenderà a degradarla, emarginarla, guardarla con sospetto e bistrattarla. Entrambi i sistemi sono evolutivamente stabili, nel senso che una volta che una tendenza si è affermata proseguirà senza problemi, salvo rari sconvolgimenti o interventi esterni.
Dopo vent’anni di berlusconismo e videocrazia, preda di populismi, qualunquismi, belenismi, gossippismi, studioapertismi, papalismi e chi più ne ha più ne metta, noi siamo palesemente sulla china sbagliata. E siamo in caduta libera. Per invertire la tendenza ci occorre un miracolo, o tanto duro lavoro.
Buona fortuna a tutti.
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