Per un motivo (revival di tutto quello che è anni ’90 ) o per l’altro (i nuovi film, sorprendentemente ben fatti), ultimamente Neon Genesis Evangelion, con i primi episodi usciti alla fine del 1995 e quindi ormai vicino alla maggiore età, è tornato sulla bocca di tutti. Di tutto questo ne ha già parlato il buon Clò in questo articolo, io, da bravo nostalgico rompicoglioni, vorrei invece lasciare da parte per un attimo i pur fighi nuovi film e parlare di quello che è stato Evangelion ai suoi esordi,di come una serie con solo 26 episodi e qualche spinoff abbia generato profitti di merchandising per 150 miliardi di yen (fonte: Wikipedia. Inb4 lol wikipedia come fonte) e, soprattutto, di come sia riuscito a diventare termine di paragone nell’ambito degli anime e a rimanere sulla cresta dell’onda per quasi 20 anni.
Durante i miei recenti 14 giorni a zonzo per il Giappone sono rimasto stupito dalla pervasività di Evangelion all’interno non solo della cultura “otaku” ma anche di quella popolare giapponese: dalle prevedibili action figures (ma non solo) di Rei Ayanami per passare al caso assurdo di una reclame per un rasoio in un supermercato con il faccione di Gendo Ikari ben felice di sbarbarsi. In Giappone, ma non solo lì, Evangelion è stato forse l’unico anime a godere della fama di “culto” e allo stesso tempo a rimanere in voga per tanto tempo (Death Note, che ha fatto tanto clamore, già non se lo caga più nessuno, diciamolo. E non credo che Attack On Titan sopravviverà all’hype). Beh, perché? Per porre una domanda all’annoso quesito, invece di parlare degli altri, vorrei chiedermi: “Perché IO mi sono intrippato così tanto con Evangelion”? E per rispondere, bisogna tornare nei miei amati anni ’90…
Penso che la prima volta che ho sentito parlare di Evangelion sia stata ai tempi delle medie; ricordo solo che il nome mi fece ridere, ma mi rimase comunque impresso. Dal momento che ai tempi non ti potevi guardare le puntate subbate in italiano un giorno dopo la trasmissione in Giappone e le allettanti vhs in fumetteria erano fuori dal mio budget, io scoprii Evangelion, come credo tanti miei coetanei, durante la maratona degli anime sui robot di MTV (non erano certo i tempi di Jersey Shore, non erano rare figate come questa) in cui furono messe in onda un paio di puntate, credo nel 2000. Dopo aver spremuto la mia connessione 56k per consultare fansite, spoilerandomi l’impossibile, fu con malcelato entusiasmo che accolsi la notizia della messa in onda dell’intera seria su MTV l’anno successivo. La serata dedicata agli anime su MTV, credo che fosse il mercoledì, aveva già regalato perle come Cowboy Bebop e Trigun, ma l’hype che attendeva Evangelion era comunque massiccio.
Ripensando a quel periodo, non ho dubbi sul motivo per cui Evangelion mi prese così tanto: certo, la qualità delle animazione e la frenesia dei combattimenti erano un gradino sopra agli altri cartoni coi robottoni che avevo visto finora, lo sviluppo serrato della narrazione mi teneva incollato alla poltrona e l’enorme quantità di riferimenti biblici/mistici/scientifici/salcazzo mi portavano più spesso ad esaltarmi e a lodare la profondità di Evangelion che a farmi venire il dubbio che fossero tutte menate messe li a cazzo. Ma siamo onesti: i motivi per cui Evangelion fece intrippare così tanto me e altri segaioli baldi giovini sono due: Rei e Asuka (Misato, per quanto non disprezzabile e con una caratterizzazioni con i controcoglioni, non può reggere il confronto, dai). E’ praticamente impossibile guardare Evangelion senza innamorarsi di una delle due ragazzine, le quali, oltre a godere di un design che sembra concepito al fine di incentivare l’onanismo (già Nadia, sempre della Gainax, ai tempi generò i primi timidi fenomeni di barzottismo, alla faccia della pietra azzurra), hanno sempre avuto, e hanno tuttora, un fascino irresistibile per il nerd tipo che si mette a guardare le giapponesate.
Del resto, sia per look che per carattere, la Ayanami e la Soryu Langley sono complementari e incarnano due archetipi di fascino femminile dalla comprovata efficacia attrattiva: fredda, misteriosa, introspettiva e gracile la prima, energetica, esuberante, provocatrice e maliziosa la seconda. Hideaki Anno, che sta un po’ a Evangelion come Hideo Kojima a Metal Gear Solid, probabilmente la sapeva lunga a proposito, dato che le due ninfette (sì, hanno quattordici anni e vi dovreste sentire in imbarazzo a guardarle con occhi predatori *nasconde le molteplici action figures appena comprate in Giappone*) apparentemente passano più tempo a girare nude o in deshabillé e a evocare differenti tipi di feticismo che a pilotare quelle cazzo di unità Eva. Unità Eva che sono comunque una figata, a livello estetico e iconografico, con il loro design antropomorfo, il loro fascino di distruttiva eleganza e tutti i lati oscuri che si portano dietro. Io sono uno che non è mai stato un gran fan dei cartoni coi robottoni, ma i combattimenti tra gli Eva e gli Angeli sono sempre stati uno spettacolo, quasi mai noiosi. Però, con ogni probabilità, se non fosse stato per le tettine di Rei e Asuka non sarei stato lì a sentire quegli sfigati degli ufficiali Nerv a menarla per ore tra AT Field e salcazzi, non avrei avuto modo di approfondire la personalità complessa dei personaggi, principali o no, non sarei andato a cercare su Yahoo (era pur sempre il 2001) che cazzo stavano a significare quelle corbellerie pseudo-esoteriche sparate da quello stronzo di Gendo Ikari e dall’altro vecchiaccio allampanato. E nemmeno voi.
Neon Genesis Evangelion, che non ha mai avuto una vera rilevanza “mainstream” fuori dalla giappolandia, ha recentemente riempito di ominidi brufolosi e dall’ascella diversamente bonificata i cinema di mezza Italia; magari all’uscita delle sale i nerdazzi ti stavano a parlare della resa iconica di Neo Tokyo 3 o della simbologia cabalistica, ma sta tranquillo che arrivati nella loro stanzetta si sarebbero fiondati le doujinshi più zozze e peggio disegnate del web pur di neutralizzare la devastante carica erotica accumulata a vedere Rei e Asuka per tre ore, tra una tuta da combattimento, una divisa scolastica o, addirittura, come mamma le ha fatte (nel caso di Rei, figurativamente). E soprattutto, senza di loro sarebbe stato impossibile sopportare per 26 episodi, non so quanti finali alternativi e innumerevoli rifacimenti quel grandissimo coglione di Shinji. Pensateci: Shinji non fa mai un cazzo se non obbedire agli ordini e lamentarsi, ma gli capita comunque di pilotare dei robottoni ultrafighi e potentissimi e di godere delle attenzioni amorose delle fanciulle che hanno generato la maggiore quantità di materiale hentai nella storia dell’animazione nipponica. Vaffanculo, Shinji Ikari.
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