Nel variopinto mondo dei concorsi letterari, capita spesso che il romanzo migliore non si nasconda nel ruolo del vincitore. È questo il caso di All That Man Is, di David Szalay, sconfitto nella finale del Booker Price del 2016.
Szalay è fra i talenti più giovani del panorama letterario britannico: vincitore del premio Gordon Burn, è stato nominato dal Telegraph nell’elenco dei migliori scrittori inglesi under 40.
All That Man Is si presenta come un romanzo inusuale: una collezione di nove storie brevi, unite dallo stesso tema.
La virilità; il significato dell’essere uomini in quanto uomini, maschi.
Protagonisti del romanzo sono nove uomini di età diverse e crescenti: dal primo, di soli 17 anni, fino all’ultimo di 77.
Da un treno che attraversa le capitali dell’Interrail, a un resort a Cipro; dalla campagna francese a Londra, tutti i personaggi di Szalay si stanno spostando. Il viaggio diventa protagonista – per piacere, lavoro o necessità – non tanto come tema esplorato, quanto espressione dell’europeismo contemporaneo. I popoli sono intrecciati, raramente nella stessa storia più di due personaggi condividono la nazionalità, e il movimento trasfigura sul piano esteriore l’irrequietezza creata dalle situazioni in scena. Le preoccupazioni che occupano gli uomini della raccolta non sono particolari, di fatto sono quasi tutte variazioni dei due temi più classici: amore e denaro. Che sia un miliardario che contempla, guardando con la coda dell’occhio al suicidio, il crollo del suo impero, o un ex impiegato traslocato nell’est Europa per risparmiare, la preoccupazione è identica. Così come è la stessa dello studente fuori sede che si chiede se può permettersi le vacanze, o dello scholar che valuta chi guadagni di più, fra sé e la sua partner. Questa banalità di fondo si manifesta stridente quando paragonata alla larghezza di scope che il titolo del romanzo parrebbe supporre. All That Man Is – tutto ciò che l’uomo dovrebbe essere si va a stringare, così, nella preoccupazione per l’immediato. Nel desiderio di alcun status symbol molto comuni, facilmente identificabili. Manca tuttavia, nella voce narrante di Szalay, il giudizio. Non c’è l’ombra di malignità nel rivelarci la sofferenza di questi personaggi, che non hanno altra colpa che di essere se stessi. E il loro muoversi, la loro necessità di doversi insistentemente muovere, fa trasparire perfettamente, senza doverla quasi nemmeno nominare, una tristezza tipicamente mitteleuropea. Una irrequietezza e insoddisfazione latente, che è presente come uno spettro, anche nei momenti di supposta vittoria. Si presenta agli angoli delle pagine, in qualche battuta di dialogo secondaria. Nelle conclusioni quasi sempre immediate, brusche, che le storie hanno.
Sono lontane, infatti, dagli sviluppi classici. Veniamo introdotti in medias res quasi ogni volta, e con altrettanta velocità siamo portati al capitolo successivo, quando la narrativa sembrava essere sul punto di fornire una conclusione. Ogni nuovo inizio mantiene per di più, con la vaghezza, la possibilità di essere la continuazione della storia precedente, creando brevi momenti di confusione intenzionale. Ogni nuovo personaggio ci appare come osservato da lontano: all’inizio non è che una sagoma, non riusciamo nemmeno a riconoscerlo e capire se sia qualcosa di nuovo o già visto. Man mano che si avvicina iniziamo a conoscerlo, ad accumulare i dettagli sulla sua personalità, la sua vita e i suoi problemi. E al momento di risolverli, di trovare qualcosa di definitivo per ognuno di loro, veniamo bruscamente interrotti e portati alla fase successiva. Che inevitabilmente ripete il ciclo, e così via, correndo verso la terza età del nostro ultimo personaggio, verso la morte.
Yesterday he experienced a sort of dark afternoon of the soul. Some hours of terrible negativity. A sense, essentially, that he had wasted his entire life, and now it was over. The sun was shining outside.
Il viaggio che Szalay compie attraverso le generazioni è quello della stagionatura – diverso dalla maturazione. Se i protagonisti possono apparire più pieni, più umani, man mano che invecchiano, rimangono comunque ancorati, anche loro fino alla fine, ai più adolescenti dei temi: suicidio e paura della morte. E non è un caso che la fine del viaggio narrativo venga introdotto da un incidente stradale che coinvolgerà il pensionato ex consigliere governativo.
All That Man Is è una traversata dei luoghi dell’Europa continentale, è un succedersi autostrade e città che, distinte per millenni, ora sembrano essere fatte della stessa materia. È l’emanazione di un sentimento di tristezza e insoddisfazione che non affonda in praticamente nulla di concreto, ma che è solido e percepibile come qualunque altro aspetto della realtà materiale. E contro il quale, dall’inizio della vita adulta alla sua conclusione, hanno combattuto e perso i nove uomini della raccolta.
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