Nel suo turbolento finale il 2016, tra le morti illustri più recenti, ha aggiunto il nome di Vera Rubin. L’astronoma americana è stata famosa per essere stata tra le prime persone ad osservare evidenze indirette della materia oscura, una enorme massa che permea l’universo e che non possiamo rilevare, perché non emette luce. Come altre donne nell’astronomia, Vera ha dato un apporto fondamentale alla materia. Nonostante questo, a lei e ad almeno altre due donne sue colleghe non sono stati riconosciuti i pieni meriti, almeno ai loro tempi. Vediamo chi sono queste importanti donne astronome e come hanno contribuito alla comprensione del cosmo.
Vera Rubin, classe 1928, si trova al momento della tesi di dottorato in un periodo storico dove l’Astronomia extragalattica ha mosso i suoi primi passi. Quello che si sapeva all’epoca era che, secondo la legge di Hubble, la velocità di allontanamento delle varie galassie dalla nostra è all’incirca proporzionale alla loro distanza. In altre parole, più sono distanti da noi, più si allontanano velocemente. Vera Rubin nota che non è proprio così, ci sono delle deviazioni significative di molte galassie rispetto alla legge teorica. Questo le fa ipotizzare che le galassie si ammassassero in Cluster, ossia raggruppamenti dove ogni galassia ha un suo moto proprio interno. Nonostante fosse un ragionamento corretto, non fu in grado di convincere molte persone alla sua epoca, tanto che il suo lavoro non venne neanche pubblicato.
Decisa a cambiare prospettiva, iniziò ad interessarsi allo studio delle singole galassie. Scelse Andromeda, la Galassia più vicina a noi, visibile anche ad occhio nudo, grossa più del doppio della Via Lattea. Partì con lo studiare le curve di rotazione: queste curve sono delle linee su un grafico che indicano la velocità di rotazione di un corpo celeste attorno al centro galattico in dipendenza dalla distanza. Come per i pianeti del nostro Sistema Solare, ci si può aspettare che le stelle più lontane siano molto più lente di quelle vicine al centro, esattamente come accade per Nettuno (che impiega 165 anni per fare un giro) o per Mercurio (che impiega appena 90 giorni). Vera Rubin si accorse che invece la velocità di rotazione è all’incirca costante per tutte le stelle da una certa distanza in poi. Questo va contro la Legge Gravitazionale di Newton, a meno che non ci sia una grande quantità di massa, che non riusciamo a vedere, dispersa in altre zone della galassia oltre che al centro. Questa osservazione è stata una forte conferma dell’esistenza della materia oscura. Per tanto tempo Vera ha cercato di opporsi all’idea della materia oscura, che è un argomento per teorici, preferendo le cosiddette teorie di gravità modificata, come le MOND. Sfortunatamente (o fortunatamente?), queste nuove teorie sono state smentite dalle osservazioni sul cosiddetto Bullet Cluster, che ha validato con alto livello di certezza l’esistenza della materia oscura.
Una sorte simile è capitata alla collega Jocelyn Bell, classe 1943 ma ancora in salute. Durante la sua tesi di Dottorato, entrò a far parte del team del suo relatore Antony Hewish, ed insieme costruirono un radiotelescopio per poter osservare meglio gli appena (all’epoca) scoperti quasar. Quello che trovarono, o meglio, che trovò la Bell, fu una sorgente di impulsi radio molto rapidi e periodici, come se fosse un faro intergalattico. Ulteriori approfondimenti portarono a capire che si era cospetto di stelle di neutroni rotanti: le pulsar.
Questa scoperta portò al Premio Nobel, ma non alla Bell, bensì al solo Hewish. Questo semplicemente perché il suo nome era scritto per primo nella paper della pubblicazione. Un episodio triste, compensato però dai tanti riconoscimenti conferitele da altre organizzazioni.
Concludendo il trio, è impossibile non fare una menzione ad Henrietta Lewitt. Classe 1868, e scomparsa nel lontano 1921, ebbe un’importanza storica per lo sviluppo dell’astronomia. Innanzitutto, il suo lavoro era essere un calcolatore umano. Doveva prendere delle lastre fotografiche e calcolare a mano la luminosità di ciascuna stella che compariva. Questo lavoro, ricordiamo, era spesso assegnato alle donne, che quindi hanno dato un importantissimo contributo a questa branca dell’astronomia. Guardando centinaia e centinaia di stelle, Henrietta si accorse che molte stelle della Nube di Magellano mostravano una forte variazione periodica di luminosità, e che questo periodo era correlato alla luminosità. Sapendo che erano tutte più o meno alla stessa distanza, riuscì a catalogarle perfettamente in funzione di periodo e luminosità. Queste stelle si chiamano Cefeidi, e sono un fondamentale mezzo per la misura delle distanze galattiche.
Quindi, contrariamente a quanto si pensa, ci sono state diverse donne, anche oltre alle tre citate, che hanno contribuito in maniera decisiva allo sviluppo dell’Astronomia, e seppur forse con un po’ di ritardo, il loro lavoro è stato riconosciuto. La speranza è che nel futuro non ci sarà più bisogno di sottolineare il genere sessuale della persona che avrà fatto la scoperta, in ogni campo della scienza.
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