Chi non ha vissuto di persona la gloriosa (?!) epoca dell’internet a 56kbit, non se la può proprio immaginare. Erano tempi in cui aspettavi con diligenza che il modem finisse di gracchiare per passare poi minuti tra un caricamento e l’altro, in cui ti salvavi le pagine per la modalità online o copia-incollavi i testi da leggere su un file word, robe oggi impensabili. Dei filmati non se ne parlava neanche, ma pure se volevi dei giochi o degli mp3, dovevi comunque aspettare un sacco di tempo per finire il download che se no non ti caricava un cazzo, anche se erano stronzatine da un mega. Una di queste “stronzatine”, divenuta poi un culto per i fancazzisti dell’epoca, è Tabboz Simulator.
L’iconografia tabboziana era drammaticamente suburbana e late nineties (qui per approfondire), perfetta per essere compressa in un file facile da scaricare e senza troppi fronzoli, ma pregno di contenuti. Il succo è questo: sei un tabbozzo (o tamarro, o truzzo, ci siamo capiti, insomma) e devi vivere con successo la tua vita da tabbozzo. I parametri da alzare sono reputazione, figosità, stato dello scooter e profitto scolastico (quest’ultimo, prevedibilmente, il più trascurato). Reputazione e figosità di servono per venire rispettato dalla compagnia e per agganciare una bella tipa; per alzarli, servono telefonini, vestiti zarri, ricariche del cellulare (a quei tempi non c’erano promozioni), lampade e, soprattutto, uno scooter performante e opportunamente truccato. E per tutte ste robe, servono soldi.
E qui arriva forse la parte più divertente di Tabboz Simulator: per poter venire assunto e percepire uno stipendio, dovevi compilare dei questionari demenziali, che non vi cito perché meritano di essere scoperti per cazzi vostri. Il problema è che spesso prima di ricevere lo stipendio mensile vieni licenziato a caso, e anche quando ti va bene e riesci a comprarti lo scooter, fondamentale per uscire con la tipa e fare i garini con la compagnia, ti schianti continuamente e devi ripararlo. La reputazione guadagnata con la compagnia la si perde venendo continuamente pestati a sangue dai metallari, e la figosità la ottieni facendoti le lampade, ma se esageri ti carbonizzi la faccia. Prima di trovare la tipa devi ricevere un sacco di due di picche, e per non farti mollare devi chiamarla continuamente, bruciando il credito del telefonino. Insomma, dura la vita del tamarro.
Il successo di Tabboz Simulator nei primissimi anni ‘2000, onnipresente su siti come Bastardidentro e in ogni aula informatica di scuola che si rispetti, diede vita a tutta una serie di spin off, come Tascio Simulator, Real life of Metal, Magnaccia Manager e quant’altro, magari più elaborati a livello di funzioni e grafica, visto che dopo un’oretta di gioco distratto non è che Tabboz avesse più granché da offrire. Ma non era la stessa cosa; il successo di Tabboz era dovuto all’assoluta rottura con gli standard dell’epoca: grafica grezzissima, contenuti grotteschi, linguaggio che parodizza quello dei tamarri di periferia. Sono elementi che funzionano solo una volta. Degno erede di Tabboz Simulator può essere considerato Grezzo 2 (nomen omen), a sua volta figlio del suo tempo, ma quella è un’altra storia.
Se proprio ci tenete a scoprire o a rigiocare Tabboz Simulator, si trova ancora su diversi siti con grafica rigorosamente 1.0, se non proprio 0.0, tipo questo. Ma ho paura che oggi non sia proprio la stessa cosa. Anche se fare pestare il proprio tabbozzo da un metallaro in via Lorenteggio è sempre una soddisfazione.
Marchetta: se vuoi scoprire di più sulla storia di internet dal 2000 ad oggi, è uscito il mio ebook/libro Facebook killed the Internet Star
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