Anche se alla mia veneranda età è riprovevole, ogni tanto mi capita ancora di guardare i cartoni animati cinesi non ironicamente. Ma badate, faccio molta selezione. Ovviamente, rifuggo dagli shonan e, non essendo una bambina di undici anni o un pederasta, i disegni troppo pacioccosi mi suscitano ribrezzo: mettendo solo questi due paletti filtro tipo il 99,9% della produzione nipponica contemporanea. Rimangono praticamente solo mattoni ultradrammatici come Ano Hana e bizzarrie nonsense tendenti all’erotico-soft. Shimoneta rientra decisamente nel secondo genere.
Ci sono sostanzialmente due motivi per guardare Shimoneta to Iu Gainen ga Sonzai Shinai Taikutsu na Sekai (traducibile, secondo i luminari di Wikipedia, con “un mondo noioso dove il concetto di battuta sconcia non esiste”): la trama, o meglio la mancanza di un qualsivoglia straccio di trama, e la massiccia quantità di riferimenti osé.
Dal momento che sappiamo bene che la quasi totalità degli anime contemporanei si fonda su fanservice più o meno beceri (sì, anche il vostro amato Evangelion, e lo sapete), a quel punto preferisco uno che almeno non ne faccia mistero. Shimoneta rientra infatti nel genere ecchi, cioè quel tipo di serie che non varcano le linee della pornografia per poterle etichettare come hentai, ma fanno di tutto per andarci il più vicino possibile. Una produzione simile emersa nel 2015, come Shimoneta, è Prison School, che però mischia alle battutacce e alle scene osé elementi pseudo-seriosi e da thriller psicologico. A quel punto, preferisco una serie che non maschera quello che in realtà è. Anzi, lo dichiara apertamente, fin dal titolo.
E va bene, mi tocca parlarvi della trama?! In un Giappone distopico regolamentato dalle leggi sulla purezza morale che vietano qualsiasi forma di oscenità o riferimento sconcio, una nicchia di ribelli si oppone, nel nome della libertà di espressione, esibendosi in spettacoli zozzoni e distribuendo materiale pornografico per risvegliare gli istinti delle masse. Tra questi ero-terroristi spicca Kajo, fondatrice del gruppo SOX nelle vesti della porno-eroina Blue Snow, che finirà per coinvolgere nelle sue macchinazioni porcellose il classico protagonista sfigato-ma-non-troppo, Okumi, figlio di uno degli ultimi oppositori del regime simil-ciellino.
Le prime tre puntate lasciano prefigurare il più classico dei triangoli tra Kajo, Okumi e Anna, la studentessa perbenino che combatte le bravate di SOX, ignorando che dietro la maschera mutandosa di Blue Snow si cela la sua migliore amica. Una scena ormai celebre alla fine della quarta puntata sconvolge tuttavia ogni equilibrio, e proietta la serie in una spirale di deliranza che prosegue dritta filata fino al nono degli episodi attualmente pubblicati (la prima e forse unica stagione ne presenta solo 12). Tra i personaggi che completano il quadretto si aggiunge una scienziata con occhiaie marcate e un’interesse morboso per la fecondazione, un “gorillone” dall’atteggiamento inequivocabilmente omoerotico con il protagonista, una pittrice nana con tendenze lesbo-cuckold e una figlia di papà con i capelli che ricordano una cappella. E non sto parlando di quella Sistina, eh.
La natura triviale e ripetitiva dell’umorismo di Shimoneta lo rende “per molti ma non per tutti”: se, a prescindere dall’età, sei una di quelle persone che non riesce a non ridere quando qualcuno pronuncia la parola “scroto” (sì, sono tra quelli), allora dovrebbe fare per te. Se sei un segaiolo pretenzioso e/o un fan di Woody Allen ti farà sicuramente schifo, ma in questo caso non mi è chiaro il motivo per cui ti saresti messo a leggere questo articolo.
Marchetta finale: se, come credo di aver capito, sei anche tu un giappominkia, ti potrebbe interessare il mio ebook “Un Gaijin in Giappone”, che svela la verità sui distributori di mutandine usate, e costa meno di una birra piccola.
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