I rapporti Russia – NATO non sono mai stati troppo idilliaci, ma da un po’ di tempo a questa parte sembrava fosse possibile andare d’accordo. Un’impressione che purtroppo si sta infrangendo.
La crisi nei rapporti tra Russia e NATO è scoppiata nel 2014, in seguito dell’annessione da parte della federazione della Crimea, ma le frizioni sono iniziate alcuni anni prima, basti pensare alla guerra in Ossezia del sud del 2008 o le polemiche tra Mosca e Washington per il progetto dello scudo antimissile americano, che prevede il posizionamento di basi in paesi europei molto vicini alla sfera di influenza del Cremlino.
A seguito della crisi ucraina i rapporti hanno continuato a deteriorarsi, con continui sconfinamenti di jet russi nei cieli dei paesi appartenenti all’alleanza atlantica.
In un articolo pubblicato in aprile da due ricercatori della RAND corporation, è risultato che le truppe NATO nei paesi baltici, zona di contatto diretto tra i due giganti geopolitici, sarebbero “Outnumbered, Outranged and Outgunned”.
L’alleanza atlantica sta rapidamente aumentando la sua presenza sul terreno, arrivando a coinvolgere contingenti di 24 paesi per 25mila uomini nelle prossime esercitazioni.
Approfittando della mia presenza sul luogo per le vacanze, ho intervistato alcuni cittadini polacchi, lettoni ed estoni, per sapere quali sono le opinioni di chi questa situazione di tensione la sente molto più direttamente di quanto non avvenga in altri paesi occidentali.
La prima domanda è sul ruolo della NATO, la cui presenza è facilmente percettibile per tutti. Io stesso ho potuto osservare una colonna di mezzi militari nel mezzo della campagna durante lo spostamento tra Riga e Tallinn. Generalmente tutti sembrano avere un’opinione positiva per l’alleanza atlantica, c’è addirittura chi arriva a descriverla come una famiglia e chi dice che non può essere una brutta cosa, avendo esclusivamente un ruolo difensivo. Anche l’invio di truppe viene apprezzato, sia per l’effettivo valore riconosciuto come deterrente che per il fattore psicologico di non sentirsi abbandonati e troppo piccoli rispetto al gigantesco vicino. “Pensa alla Georgia”, mi dice Maris, 52 anni, lettone, geologo formatosi negli USA dopo la caduta dell’URSS, “Loro erano da soli e si sono ritrovati i carri russi quasi dentro la capitale, noi siamo troppo piccoli, non potremmo fare nulla da soli”. Timori più che giustificati tenendo conto che parliamo di paesi che hanno a disposizione, sommando le forze delle 3 repubbliche baltiche, circa 22.000 uomini, equivalenti grossomodo a 4 brigate standard NATO, contro i 770000 effettivi russi.
Parlando della NATO il discorso si sposta naturalmente sui maggiori contributori dell’alleanza, gli Stati Uniti, sul candidato repubblicano alla presidenza Trump, e sulle sue affermazioni per quanto concerne l’aiuto americano, che, in caso di elezione, verrebbe negato per quei paesi che non contribuissero quanto gli USA ai bilanci dell’alleanza. L’opinione generale è chiara, Trump è visto come una persona poco credibile, “Non controlla la NATO e non può cambiare i trattati, non è una persona seria. Comunque l’Estonia paga la sua parte e non ha nulla di cui preoccuparsi” mi dice Ville, di Tallinn.
Se il patto atlantico è visto come qualcosa di irrinunciabile, l’opinione sull’Unione Europea è più controversa: da tutti viene apprezzato il contributo finanziario offerto, mentre l’incisività dal punto di vista politico è quantomeno dubbia. In particolare la questione dei migranti sembra stare a cuore a tutti, che infatti lamentano il numero eccessivo di arabi e africani; cosa che, a chi proviene da un paese occidentale appare abbastanza ridicola, visti i numeri minimi di immigrati in quegli stati, per altro a colpo d’occhio soprattutto indiani e asiatici. Stati che restano, anche in seguito della crisi economica che ha tarpato le ali alla crescita post-sovietica, principalmente paesi di emigrazione, con un costo della vita spropositato rispetto ad uno stipendio di 500€ al mese per un giovane e un mercato immobiliare con costi decisamente elevati. Le difficoltà mostrate da Bruxelles nella gestione dei flussi fa storcere il naso a molti, così come le intromissioni nella politica interna dei paesi da parte delle istituzioni comunitarie.
In ogni caso tanto gli intervistati quanto gli attuali governi preferiscono l’Europa a Mosca. Proprio sui rapporti con la Russia è interessante notare come tutti gli intervistati rimarchino la differenza che corre tra il governo della federazione e i cittadini russi. Putin è visto come qualcuno di cui non fidarsi, le opinioni sono divise sulle sue vere intenzioni, c’è chi crede che abbassare la guardia sia impossibile e chi, come Michael, da Varsavia dice che “Putin vuole solo mostrare i muscoli, non intende agire davvero”. Mentre la politica del Cremlino viene ampiamente criticata, questa diffidenza non si ripercuote nei rapporti con i russi, che vengono sempre descritti come persone intelligenti e degne di stima. In particolare nelle tre repubbliche baltiche, dove la minoranza etnica russa è molto abbondante (27% in Lettonia, 25% in Estonia) nessuno sembra pensare che le minoranze etniche russe preferirebbero la riunificazione col Cremlino come avvenuto in Ucraina.
La situazione è tesa e, specialmente nelle vecchie generazioni, è forte il ricordo degli anni del socialismo reale e della russificazione forzata. La Polonia è in questo momento guidata da un partito nazionalista che vede con sospetto il vicino orientale, mentre le repubbliche baltiche, per quanto scarsamente popolate, o forse proprio per questo, sono fiere dell’indipendenza ritrovata e non intendono rinunciarvici. Nel caso di un nuovo scenario ucraino credo potrebbe aspettarci una situazione più complicata e sanguinosa. La speranza è che non si arrivi a tanto e che gli sforzi occidentali si rivelino fruttuosi nel salvaguardare questi paesi, ponti tra il mondo post-sovietico e quello atlantico.
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