Esistono film/libri/dischi/videogiochi/etc. di culto, con una nicchia di fan sfegatati ma in genere ignorati dalle “masse”. Esistono poi prodotti di culto che per moda o influenza culturale diventano mainstream, tipo i Pink Floyd o le sigarette rollate.
C’è poi il caso più raro di prodotti destinati a un consumo distratto e occasionale da parte di un pubblico più generico possibile che con gli anni diventano feticci per fanatici e fanboys. Dylan Dog rientra tra questi.
L’indagatore dell’incubo sclaviano non è prorpio anni ’90 al 100%, in quanto inizia a presenziare nelle edicole del Belpaese nell’86 per poi diventare presenza fissa insieme a “Chi” e alla pornografia più becera e rutilante per chissà quanti anni ancora. Però, come arrogantemente anticipato nell‘articolo di introduzione a questo viaggio negli anni ’90 che per qualche astruso motivo mi sono imposto, ho la pretesa di rintracciare uno “zeitgeist” novantiano nei prodotti culturali più iconici di quel decennio.
E Dylan Dog, come personaggio, è fottutamente figlio dei ’90. Inglese, look metropolitano finto-trascurato, carattere e stile ombroso e dark-friendly, ossessionato da oggetti totemici come il suo cazzo di maggiolino, sfigato, sì, ma non “veramente sfigato”, giusto quella sfiga ironica che non dispiace alle alternative e non gli preclude di scoparsi le clienti, citazionista e lezioso, alternativo in modo artefatto e vagamente irritante. Ha persino una spalla che fa ridere perché non fa ridere. Cristo, è addirittura vegetariano e astemio, non sarà mica hipster?
Praticamente tutti i millemila volumetti di Dylan Dog, tra stampe, ristampe e almanacchi, si basano sul personaggio di Dylan reso meno insopportabile dalle due o tre macchiette di turno, c’è il cattivone, ci sono mostri di ogni tipo e quindi sangueemmerda, c’è la figa, buona o cattiva che sia ma sempre perfetta per quelle due paginette pseudo-erotiche che irretiscono i dodicenni, c’è ogni tanto il poliziotto serio e tormentato. L’immaginario di Dylan Dog non inventa nulla, mai, ma pesca da un repertorio potenzialmente infinito di case-history dell’horror per la plebe e di fantasy-fantascienza-fantasalcazzo dei decenni passati, così il riciclo costante della stessa inevitabile struttura narrativa, tanto lineare da far cascare le braccia ai fratelli Grimm, passa inosservato.
Fin qui pare che io stia portando avanti il solito compitino da scimpanzé di lanciare merda contro un fenomeno apprezzato da molti e amato da alcuni, ma non è questo il caso. Perché è giusto che Dylan Dog sia ripetitivo, è sacrosanto che i personaggi siano più bidimensionali di un A4 fabrianese, è legittimo che le sue atmosfere pseudo-noir dopo un po’ escano dal culo. E il mio maestro Umberto Eco non ha fatto solo una marchetta né ha preso una cantonata quando si è messo a tesserne le lodi. Il sommo semiologo ha suggerito che il successo di Dylan Dog sia dovuto alla sua sgangheratezza. Oh, è un termine così anni ’90 che mi sto bagnando nelle mutande al solo pensiero. Ma Eco, non contento, conia subito un altro lemma sublimamente definitorio: “sgangherabilità“. Che, parafrasando, è l’abilità di Sclavi nel buttare giù un piccolo coacervo di topos, stili e stereotipi che può essere declinato in mille modi possibili, garantendo ogni volta una fruizione en-passant piacevole e accattivante.
Ed è questa sgangherabilità (solo scrivendola sono venuto) a decretare il successo di Dylan Dog e al contempo a suggerirne la modalità di fruizione ideale. Che è, per l’appunto, occasionale: negli anni ’90 la gente non aveva smartphone con cui isolarsi dagli afrori esotici dei propri compagni di treno e attraverso il DD comprato all’edicola della stazione poteva entrare in atmosfere noir londinesi un po’ prefabbricate ma comunque pronte alla fruizione. Per i 58 minuti (ipotetici) da Parma a Bologna l’Indagatore dell’Incubo era il top, magari in compagnia di un altro albo di Bonelli a caso nella plausibile eventualità di un ritardo. Tra il ’94 e il ’98 io ero ancora abbastanza disinteressato a fare il figo da leggermi più che altro fumetti Disney e poi roba borderline tipo Cattivik, Lupo Alberto e PK prima di conoscere lo psicodramma della pubertà e quindi i manga; ciononostante leggevo volentieri Dylan Dog, ma per l’appunto in via del tutto occasionale, quando ero in vacanza, durante i viaggi e soprattutto dal barbiere; quando era il mio turno spesso ero frustrato per non essere riuscito a finire l’albo consunto. Anche nei primissimi anni ‘2000 mi concedevo quei 2-3 volumi all’anno, e mi piacevano.
Poi arrivò il problema che immagino colpì molti dylandoghisti occasionali: l’amico fanatico. Quello che millanta di aver la collezione completa (ovviamente i primi 30-40 numeri sono ristampe, non è così figo), che usa “Giuda Ballerino” come esclamazione senza ironia (orrore!), che sa a memoria le non-battute di Groucho e che deve piallarti il cazzo su quanto sia figa la sottotrama di Dylan Dog (per capirci, quella dei numeri 100 e 200, di Morgana e cazzi vari, che spiega il passato e il futuro del moretto londinese).
Ed è qui che arriva il problema. Perché, è arrivato il momento di scriverlo pubblicamente e senza mezzi termini, la sottotrama di Dylan Dog è una cagata pazzesca!! Fintanto che mi riveli l’incontro tra Groucho e Dylan e il perché di alcuni oggetti e situazioni, anche se in modo palesemente pretestuoso e forzato, può anche andare. Ma infilandoci dentro genitori demoniaci, viaggi nel tempo, quel cazzo di galeone, amori passati con tanto di evidenti contraddizioni tra gli albi, scontri apocalittici tra il bene e il male e altri simbolismi da quattro soldi, tutto a beneficio del supposto lettore fanatico (che è comunque una minoranza rispetto all’orda di lettori occasionali), va a finire che mi rompi anche un po’ il cazzo, eh. Io volevo solo farmi una lettura veloce e disimpegnata per passare il tempo, non volevo immischiarmi in un’epica che definire approssimativa e malriuscita sarebbe un eufemismo.
Detto questo, Dylan Dog (dei tempi che furono, non saprei dire com’è adesso, che c’ho lo smartphone e il tablet e non frequento più le edicole) era un bel fumetto, Groucho, che ti ricordava l’amico rompicoglioni, un bel personaggio e Dylan un cazzone ma con i suoi momenti di adorabile sgangheratezza. No bad feelings.
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