(Articolo originale “Don’t buy the hype: Russia’s military is much weaker than Putin wants us to think” di Mark Galeotti qui)
Oggi è la ‘Giornata dei Difensori della Patria’ in Russia, una festività pubblica per celebrare le forze armate: si va dal trionfalismo per le armi più all’avanguardia, a quello per le campagne in Siria e Crimea. Intanto, dall’Occidente si sentono agghiaccianti avvertimenti per quanto riguarda la minaccia della macchina da guerra del Cremlino. I sospetti hanno sempre la loro importanza: in geopolitica, dare l’impressione di essere pericolosi conta in effetti più dell’esserlo veramente. Fintanto che l’Occidente continuerà a credere che la Russia possa guadagnare terreno in Crimea e in Siria, o persino mirare agli stati del Baltico, la tentazione di fare concessioni e invitare Vladimir Putin al tavolo dei negoziati si farà sempre più pressante. Il presidente russo sembra voler contare proprio sul fatto che nessuno voglia chiedersi quanto il suo nuovo esercito sia effettivamente potente.
Da quando è riuscito per la prima volta a ottenere le redini del Cremlino alla fine del 1999, Vladimir Putin ha investito considerevoli somme nella modernizzazione della macchina bellica russa, al tempo in stato catastrofico e sottofinanziata da decenni. Di questo resta a eterna memoria la terribile performance della prima guerra in Cecenia, combattuta tra disertori, frodi e corruzione dilagante. Lo stato pietoso in cui l’esercito russo versava ai tempi di quel conflitto è sicuramente un ricordo del passato, ma l’opera di modernizzazione non può ancora essere considerata completa: la forza militare russa di oggi è ancora a metà strada tra la reale efficienza e il mero status di arma da guerra psicologica.
Le forze speciali russe hanno agito in Crimea nel Febbraio 2014 con una disciplina e precisione rispettabili, giocando la parte dei soldati ben addestrati. Tuttavia, si è trattato effettivamente soltanto di un’elite schierata da Mosca che non ha mai incontrato alcuna opposizione. La Russia è stata in grado di ribaltare le sorti della situazione in Siria grazie ai suoi bombardieri, ma per mantenere il ritmo delle operazioni Mosca ha dovuto impegnare i migliori piloti e persino comprare delle vecchie navi turche per sostenerli logicisticamente. In ogni caso, difficilmente bombardare delle forze ribelli prive di alcun armamento terra-aria può essere considerata una valida prova di valore per la nuova aviazione russa.
In Ucraina, dove i russi hanno schierato truppe fin dall’estate del 2014, Mosca ha dovuto improvvisare dei “gruppi tattici”, assemblati pescando reclute dalle migliori compagnie di soldati di tutto il paese. Dopotutto, quasi metà dell’esercito russo è composto da coscritti reclutati per un solo anno. Gli ufficiali, a microfono spento, ammettono che nel periodo di tempo tra l’addestramento e la mobilitazione conclusiva, gran parte delle truppe possono essere utili solo per tre mesi l’anno. Non solo Mosca è costretta ad accompagnare le sue flotte con rimorchiatori per far fronte alle avarie, ma deve anche mantenerle in porto per mesi dopo le riparazioni. E anche se la Russia ha grandi piani per quanto riguarda la costruzione di nuove navi da guerra, il grosso dei materiali (tra cui le turbine del gas) necessari ai lavori dovrebbe essere importato dall’Ucraina, paese con cui Mosca ha ovviamente tagliato ogni relazione.
In altre parole, abbiamo finora assistito solo alla performance dell’elite militare russa operante nelle condizioni ideali, e non al resto delle forze armate, né abbiamo visto come queste affronterebbero una vera minaccia. Sarebbe un po’ come credere di poter giudicare il sistema scolastico americano visitando solo Harvard, o analizzare l’intera sanità pubblica prendendo come esempio la Mayo Clinic. Il risultato è che stiamo confondendo un esercito vasto ma allo stremo delle sue forze, e solo parzialmente modernizzato, con una terribile minaccia per l’Occidente e la comunità mondiale – e ci comportiamo di conseguenza, cedendo al Cremlino più potere e influenza di quanto esso meriti davvero.
Dunque per quale motivo l’Occidente è così preoccupato? In buona parte, si tratta della tipica abitudine umana della sovracompensazione. Dopo che gli episodi in Crimea e Siria hanno mostrato le inaspettate capacità dei russi, gli occidentali sono precipitati a delle conclusioni estreme. In gioco ci sono anche altri interessi: quelli dell’industria bellica, che ha volutamente usato la sfida russa per giustificare più spese per la difesa e per nuovi armamenti. Quelli delle nazioni di confine, che hanno fatto lo stesso sia per ribadire il loro ruolo chiave, sia per ottenere maggior supporto dagli alleati. Quelli dell’establishment militare, il cui compito è da sempre quello di ipotizzare e prepararsi ad affrontare i peggiori scenari bellici.
È comprensibile. Dalla capitale estone Tallin, per esempio, non è facile essere ottimisti riguardo agli intenti e alle capacità di Mosca dopo che i russi hanno rapito uno dei segretari alla sicurezza, violato lo spazio aereo nazionale con dei bombardieri e organizzato un’esercitazione militare che ricalca l’invasione del paese baltico. Il problema, però, è che tutto questo avvantaggia Putin. Come calcolato, più minacciosa la Russia riesce ad apparire, maggiore è l’influenza diplomatica che lui può ottenere. Dopotutto, se si analizza oggettivamente la situazione, difficilmente la Russia può essere considerata una grande potenza. Certo, il paese possiede delle armi nucleari, ma di recente la loro utilità pratica è sopravvalutata. Il riarmo della nazione è necessariamente basato sulle sue finanze, e al momento l’economia russa dipende dalle esportazioni di un petrolio straordinariamente economico.
L’economia è la tredicesima al mondo, tra Australia e Spagna, e vale circa la metà di quella francese e un quattordicesimo dell’americana. Persino prima che il valore del Rublo collassasse, gli investimenti militari russi ammontavano a un settimo di quelli degli Stati Uniti. Ciò che il Cremlino invece ha è la volontà di rischiare, ignorare le regole, e sperare che gli altri giocatori sullo scacchiere internazionale siano più cauti, ragionevoli e pronti a fare concessioni, piuttosto che a smascherare i bluff della Russia. In generale pare che questa strategia abbia funzionato, ma la geopolitica da ‘bad-boy’ di Putin e la sua vanagloria militaresca stanno velocemente bruciando risorse che si rivelano preziose. Allo stato attuale il budget per la difesa russo è insostenibile. Quest’anno ha già subito dei tagli del 5%, costringendo l’amministrazione al ritardo o al rimando di diversi progetti. Anche considerando i tagli, le spese militari stanno prosciugando le finanze del Cremlino, necessarie per una diversificazione dell’economia e per i servizi pubblici, utili a placare il crescente scontento popolare.
La Russia ha gettato via il suo ‘soft power’, la sua autorità morale nel mondo, con la quale poteva un tempo essere considerata l’alternativa all’ordine mondiale guidato dall’Occidente. Ora è vista positivamente solo in Vietnam, Ghana e China. Proprio perchè Putin è riuscito a fare dell’ottima pubblicità alle capacità militari russe, la NATO è ora più unita che mai e le spese per la difesa, da tempo snobbate in Europa, iniziano a essere ridiscusse (ci si aspetta un aumento medio dell’8% quest’anno). Per la NATO, affrontare seriamente la sfida russa significa anche negare a Putin la credibilità e l’autorità che non merita. Non solo ogni volta che un nuovo allarme appare – come quando il segretario del Joint Chiefs of Staff Martin Dempsey ha detto che “la Russia rappresenta la più grande minaccia alla sicurezza nazionale americana” – la macchina della propaganda di Mosca ottiene un nuovo titolo da prima pagina; Putin deve anche sentirsi particolarmente soddisfatto.
A torto o a ragione, dal punto di vista di Putin, è solo la paura a far sì che l’Occidente gli parli e presti attenzioni agli interessi russi. Finora gli abbiamo dato ragione. Con le nostre paure, non solo stiamo effettivamente incoraggiando Putin a considerare sempre più ‘avventure’, gli stiamo persino dando il prestigio che il leader di una nazione in declino, impoverita, sottopopolata tra la prospera Europa e la crescente Cina non meriterebbe. Al momento, l’Occidente sta facendo da PR alla Russia di Putin. Mantenere un atteggiamento più rilassato ed essere meno inclini a sobbalzare ogni volta che sferraglia la sciabola potrebbe, nel breve periodo, farlo infuriare e incoraggiarlo a mosse più caute. Nel lungo periodo invece, se dovesse capire di essere trattato come un fastidioso ultimo arrivato, piuttosto che una temibile minaccia, potrebbe finalmente dimostrargli che il bluff non è mai una scorciatoia per lo status di grande potenza. Dopotutto, Putin non è un pazzo né un fanatico, e il personale di cui si circonda è generalmente composto da arrivisti e pragmatisti animati da egoismo. Alla fine, non farsi prendere dal panico e non permettere a Putin di plasmare l’agenda geopolitica a suon di sciabola potrebbe essere la risposta più efficiente ai suoi capricci.
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