L’automobile è l’unico mezzo di trasporto di massa che consente il rispetto dell’intimità individuale ed una libertà di scelta quasi assoluta ad un costo economico relativamente accettabile.
Poche altre invenzioni del secolo scorso hanno apportato cambiamenti socio-economici così profondi come essa, paragonabile forse solo al trio digitale rappresentato da pc, internet e telefonia mobile.
Ma come da grandi poteri derivano grandi responsabilità, il costo della libertà di movimento e della sua dimensione individuale è un’efficienza energetica minore rispetto agli altri mezzi di trasporto convenzionali.
Efficienza energetica che in realtà non era stata presa molto in considerazione dall’industria del settore fino ad un fatto storico molto preciso, che tra conseguenze dirette ed indirette, può essere intesa come una delle maggiori cause dei cambiamenti socioeconomici degli ultimi 30 anni.
Quella che sembrava una scaramuccia tra stati iniziata il 6 ottobre del 1973, porterà prima all’embargo petrolifero ai paesi occidentali da parte dei paesi dell’OPEC e poi ad una serie di cambiamenti industriali e sociali senza precedenti.
Sicuramente si può imputare a tale evento storico la progressiva scomparsa (o il loro estremo ridimensionamento) dei giganti motoristici statunitensi e al declino delle industrie est europee. Con le relative conseguenze, motoristiche e non, che viviamo tuttora, quali la dissoluzione dei regimi comunisti e la spinta propulsiva all’industria giapponese prima ed asiatica poi.
Tra le tante conseguenze la società ha iniziato a porsi alcune domande sull’efficienza dei nostri mezzi di locomozione, sia dal punto di vista dell’approvvigionamento, che, grazie ai movimenti ecologisti del decennio successivo, dell’inquinamento.
Dall’oggi al domani ci si iniziò a rendere conto che i combustibili fossili, in quanto adoperati in processi chimici non reversibili, sono una risorsa finita. Il problema da lì in poi è sempre stato definire quanto. Probabilmente ci sarà abbastanza petrolio almeno per altri 40 anni, oppure ancora di più, viste le tendenze rialziste degli ultimi decenni.
In ogni caso dagli anni ‘70 in poi si sono andate differenziando le proposte di propulsione, rispolverando vecchie soluzioni (le prime auto elettriche risalgono ai primi del ‘900 e stabilirono diversi record prima di subire il sorpasso tecnologico ed economico da parte dei motori a combustione interna) o pensandone di nuove, di seguito un breve riassunto con vantaggi e svantaggi delle varie soluzioni.
Il carburante principe della trazione individuale è quello che ha subito il maggiore sviluppo tecnologico, passando prima da carburazione ad iniezione meccanica e poi elettronica, variatori di fase, aumento del numero di valvole, passaggio da iniezione indiretta ad iniezione diretta, e da ultimo la turbocompressione.
La tendenza manifestatasi in questo senso, riscontrabile su tutti i produttori mondiali di autoveicoli, è di fare motori più piccoli ma al contempo potenti quanto i propri predecessori se non di più, commercialmente definito come downsizing.
L’unica eccezione in questo senso è Mazda, che ha preso una strada leggermente differente.
Tanta attenzione è stata dedicata a questi motori che i nostri nonni chiamerebbero ad accensione spontanea, differenti dai benzina per la mancanza di candela che “forza” l’accensione in tal caso definita comandata.
Il costo minore di questo carburante rispetto alla benzina, in precedenza un prodotto di scarsa purezza del cracking (ora non più principalmente a causa dei metodi di sintetizzazione avanzati e degli additivi necessari ad una combustione ottimale) non è più dovuto al costo industriale ma alla differenza di accise sostenute da una politica economica volta a non uccidere l’autotrasporto in Italia.
Nei primi anni ‘90 si pensava che un centro di ricerche sito a Modugno di proprietà del gruppo Fiat, avesse trovato l’uovo di Colombo della sostenibilità economica della motorizzazione di massa (almeno per i successivi 20-30 anni). La successiva introduzione di motori di piccola cilindrata su auto di segmento A sembrava confermare tale tendenza.
Tuttavia non erano stati fatti i conti con i terribili NOx e particolati di materia (PM), che, a causa di legislatori – se non miopi – scarsamente informati, hanno obbligato l’introduzione di tecnologie penalizzanti dal punto di vista del consumo energetico per ridurre l’inquinamento. Due su tutte EGR e DPF/FAP.
Nonostante tutto si è comunque trovato un compromesso accettabile per ridurre le emissioni di questi due inquinanti, più sicuro ed economico della Cerina.
Si chiama AdBlue ed è stato sviluppato anche grazie a quei cattivoni del gruppo Volkswagen che hanno provato ad avvelenarci truccando le centraline su cicli di misurazione del secolo scorso e standard posti numericamente a tavolino (senza contare che per quanto sia nobile l’intento, non sempre è possibile raggiungere determinati obiettivi scientifici in un lasso di tempo predeterminato).
In altre parole il Diesel, dopo un decennio di necessari aggiustamenti tecnologici, è arrivato ad un punto di relativa stabilità per mantenere la distanza dalla Benzina.
Ma si sa che il progresso tecnologico è inarrestabile e forse la Benzina ha ancora più di qualcosa da dire.
Chi vuole inquinare meno e risparmiare qualcosa tendenzialmente si riferisce a questi carburanti alternativi. SPOILER: Non è vero che inquinino meno in ogni condizione.
A fine anni ‘90 un’auto trasformata a GPL inquinava più di una convenzionale in praticamente tutte le condizioni di funzionamento.
A prima vista sembrerebbe che oggi le cose siano enormemente cambiate, grazie anche a progettazioni integrate già a livello di fabbrica, ma con un’analisi più attenta dei dati tecnici riportati dai costruttori (ad esempio una Panda ultimo modello, che incidentalmente ha sia la versione GPL che Metano) il consumo di GPL risulta essere superiore tra il 6 e il 46%.
Facendo due conti, nel peggiore dei casi, prendendo il potere calorifico inferiore di entrambi e confrontandolo con la CO2 emessa per carburante (supponendo il GPL come propano puro), il GPL emette ben il 30% in più di CO2 (anche rispettando il 10% in meno del ciclo urbano).
Il metano, avendo un margine più alto di vantaggio sulle emissioni e seguendo praticamente lo stesso andamento di consumo della benzina, invece conserva un 25% di margine nella motorizzazione a doppia alimentazione.
Margine che tuttavia scende ad appena il 10% considerando la versione non bifuel dotata di cambio robotizzato. Mettendole a confronto in ciclo urbano in modalità benzina, la robotizzata normale consuma il 20% in meno della bifuel.
In sostanza tutti questi numeri stanno a significare che nel migliore dei casi state inquinando il 10% in meno (sempre su cicli di riferimento che lasciano il tempo che trovano). Che sarebbe perfettamente ottenibile guidando seguendo dei semplici consigli chiamati ecodrive (una versione online di una società svizzera).
In sostanza se comprate l’auto a metano o gpl dite che lo fate per le vostre tasche e risparmiateci la tiritera che lo fate per l’ambiente perché guidando in maniera sbagliata gli sforzi ingegneristici vengono vanificati in un batter d’occhio. O, come in questo caso, in una pestata di pedale di troppo.
Anche qui c’è il mito green da sfatare. Sebbene le auto elettriche siano intrinsecamente molto più efficienti delle auto a combustione interna, il problema si sposta sulla produzione di energia, che se fatta in maniera sbagliata (con le centrali a carbone ad esempio) la situazione peggiora invece che migliorare. Come accade ad esempio in quasi tutta la east coast statunitense.
In più bisogna considerare la CO2 emessa nel ciclo di vita complessivo, che al momento, data la bassa efficienza dei processi estrattivi e produttivi legati al litio delle batterie, in alcuni casi è ancora quasi allo stesso livello dei motori a combustione interna. Incentivare pesantemente il mercato dell’elettrico non ha sempre effetti positivi a livello economico ed ambientale, e soprattutto, come nel caso della Cina, rischia di creare scompensi o addirittura frodi.
In ogni caso le efficienze dell’elettrico sembrano destinate ad aumentare nel prossimo futuro, ma forse l’auto elettrica del futuro non sarà come al momento lo stanno intendendo i produttori attuali, in un altro articolo vedremo perché. E potrebbe anche risolvere l’annoso problema della ricarica delle batterie.
Discorso molto simile all’elettrico. In una prova vecchia ormai di un paio d’anni la differenza era di giusto il 4%, che ci potrebbe tranquillamente riportare al discorso degli stili di guida.
Aggiungete che in alcune condizioni davvero estreme (ad esempio un giro in montagna) gli ibridi più piccoli, come una Toyota Yaris, potrebbe ritrovarsi con la batteria a terra e dei 100 CV disponibili in combinato avreste praticamente solo i 75 CV termici.
In più i powertrain ibridi a buon mercato tendono a sacrificare sull’altare dei costi l’efficienza dei motori termici, di solito installando aspirati benzina.
Ma c’è chi fortunatamente può permettersi prodotti di alto profilo come Mercedes con il BlueTEC Hybrid che coniuga l’efficienza del diesel alla trazione ibrida ed a un’aerodinamica di primo livello. O un gradino sotto con il sistema Hybrid4 di Peugeot.
Di fatto si tratta di un veicolo elettrico, con una fuel cell che fornisce l’energia necessaria al movimento on demand, prelevando l’idrogeno da una bombola sotto pressione, che si sta dimostrando un metodo di stoccaggio relativamente sicuro.
Peccato che non sia un sistema che elimina totalmente gli svantaggi dell’elettrico perché necessita di una batteria più piccola che funge da buffer, mentre il sistema basato su fuel cell è costosissimo per i materiali utilizzati (catalizzatori al platino che inciderebbero almeno per 1500 $ a cella, e si utilizzano anche più celle in parallelo).
Per di più, incide pesantemente sull’impatto ecologico una produzione non esattamente green dell’idrogeno. Infatti, contrariamente alle convinzioni popolari l’idrogeno da elettrolisi è sconveniente perché poco efficiente, ed al momento il sistema più gettonato è basato sulla metanizzazione. Che sarebbe un’ottima soluzione per permettere alla rete di distribuzione di crescere e svilupparsi in tempi brevi (uno degli annosi problemi del sistema), ma di sicuro non è un distacco dai carburanti fossili.
Ci sono anche stati tentativi di bruciare idrogeno direttamente nei motori a combustione interna come la BMW Serie 7 di un decennio fa circa, fortunatamente finita nel dimenticatoio, dato che si arrivava ad efficienze veramente ridicole.
Dulcis in fundo uno dei carburanti più conosciuti dagli amanti della pista, l’etanolo, che nella sua miscelazione E85 è venduto in parecchi paesi del mondo e sarebbe pronto ad essere immesso in un qualsiasi motore ad accensione comandata aumentando il rapporto di compressione e di conseguenza la potenza (sono necessarie modifiche alla mappa della centralina in ogni caso). Calano anche le emissioni, ma a costo di un consumo maggiorato, che in termini monetari è maggiore anche del 10%.
Altri biocarburanti vengono inclusi in misura sempre maggiore anche in quelli venduti alla pompa, ma l’efficacia sul contenimento dell’inquinamento è di nuovo molto variabile ed estremamente dipendente dalle modalità d’uso. Secondo alcuni l’incremento di domanda delle materie prime agricole da destinare ai biocarburanti, insieme alla diminuzione dell’offerta dovuta ai copiosi incendi accaduti in Russia nel 2010, possa essere stato il carburante necessario allo scoppio della primavera araba.
Paradossalmente la caduta del regime egiziano nel 2011 potrebbe essere fatta risalire, in piccola parte, alla scelta del regime stesso di scendere in guerra contro Israele nel 1973.
In sostanza, non importa cosa comprate o quale carburante bruciate, ma come lo guidate.
1 Gennaio 2017
19 Novembre 2016
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