L’estate sta finendo, e fra pochi giorni ricominciano le scuole. Finalmente si potranno vedere gli effetti della riforma dell’istruzione, la cosiddetta “Buona Scuola” che il Parlamento ha approvato. Qua, per chi vuole, c’è una sintesi di come cambierà l’istituzione scolastica italiana.
Mi sono sforzato in tutti i modi di capire le enormi antipatie della sinistra nei confronti di questa riforma. Non ci sono riuscito. La destra è contraria perché “il gender”, e un motivo almeno c’è. Falso finché si vuole, ma almeno sono riuscito a capire dove stia il (non) problema per loro. Un ragionamento simile per la sinistra, però, non sono riuscito a trovarlo.
Sicuro, esistono problemi di natura organizzativa che meritano risposta, come gli insegnanti mandati a svolgere la professione a diversi chilometri da casa (anche se non capisco un possibile criterio alternativo al “mandiamo gli insegnanti dove servono“… se vicino a casa tua non c’è domanda di insegnanti di spagnolo cosa devono fare? Inventarsi un posto che non c’è?). Oppure ci si può chiedere se, dopo tutto, abbia effettivamente un senso affidare la valutazione degli insegnanti ai presidi, creando possibili clientelismi e leccaculismi. O ancora, desta dubbi il fatto che non tutti gli insegnanti in graduatoria siano stati assunti (i rimanenti verranno, verosimilmente, assunti gli anni prossimi).
È vero, la riforma non è perfetta. Renzi, quei volponi ti hanno beccato: si può migliorare in un sacco di punti. Ogni cosa si può migliorare, e abbiamo finalmente stabilito che nemmeno il nostro premier è riuscito a creare qualcosa di perfetto e inemendabile.
Grandiosa scoperta, ma non riesco a capire dove stia il punto di voler bloccare interamente una riforma per alcuni punti che, pur discutibili, non ne costituiscono affatto la sostanza.
Ricapitoliamo per i più pigri: gli insegnanti dovranno aggiornarsi. Ad oggi, l’aggiornamento era demandato alla buona volontà del singolo insegnante, che poteva frequentare i corsi oppure starsene a casa. Visto che i corsi venivano pagati di tasca propria dai docenti, molti hanno deciso di non frequentarne nessuno. Ed è legittimo. Ora agli insegnanti vengono dati cinquecento euro annui per formarsi. Sono una miseria? Sì. Da qualche parte bisogna cominciare? Di nuovo, sì. Ci stiamo muovendo nella direzione giusta? Sì di nuovo. Allora non vedo dove sia il problema; prima non veniva dato niente, ora viene dato qualcosa. Cominciamo da lì.
Inoltre, gli insegnanti sono finalmente valutati. Si esce finalmente dall’ottica per cui, cito parola per parola quello che ha scritto un professore, “ il lavoro dei docenti non è valutato in nessun modo, le classi restano luoghi chiusi in cui ognuno fa più o meno quello che vuole”. Con questa riforma si spera che questo non accada più: chi lavora male viene disincentivato, chi lavora malissimo viene cacciato, chi lavora bene prende più soldi. Se il problema sta nel fatto che a valutare è il preside, ci tengo a far notare che
Ci si chiede se questo non possa generare problemi di clientelismi. BENVENUTI NEL MONDO DEL LAVORO, mi viene quasi da dire, un posto dove insultare il proprio superiore non paga. Ad ogni modo, la situazione si risolve in fretta nel momento in cui ogni assunzione del preside viene adeguatamente motivata con parametri chiari, e gli aumenti di stipendio vengono decisi non dal preside solo, ma da una commissione di sette persone di cui lui fa parte.
E, tra l’altro, i presidi vengono valutati a loro volta. E loro vengono valutati davvero da ispettori esterni, che si spera non siano affatto teneri. Possiamo discutere su come valutare i presidi e su che criteri, ma il succo della questione mi sembra inattaccabile: i superiori valutano e vengono valutati. Ci sono presidi asini? Benissimo: chiediamo valutazioni più severe, o metodi di valutazione diversi. Ma il meccanismo nuovo promette di funzionare bene, quello vecchio no, e a farne le spese sono gli alunni sempre più asini, non i professori.
Inoltre finalmente non basta più l’anzianità per avere gli aumenti in busta paga. Grido al cielo “era ora”. Prima bastava scaldare la cattedra per un certo numero di anni; motu proprio, sarebbero arrivati più soldi. Ora, vivaddio, i soldi vanno guadagnati, e non riesco proprio a capire dove stia il problema. Al solito, si può contestare il metodo, ma non il meccanismo in sé. I nostri insegnanti sono fra i peggio pagati d’Europa, e aumentare gli stipendi è doveroso perché parliamo di professionisti che hanno studiato, prendono una miseria e fanno un lavoro ingrato, ma non è accettabile l’idea di dare soldi a pioggia a tutti quanti per il puro fatto di aver firmato un contratto vent’anni fa.
Oltretutto, questa riforma brilla anche per un altro motivo, e cioè per il fatto che l’istituzione scolastica italiana ad oggi manca di una visione d’insieme a lungo termine. Sono ormai quindici anni che ogni governo che si insedia stralcia completamente la riforma precedente, con le sole eccezioni del governo Monti, che aveva ben altro a cui pensare, e quello Letta, rimasto in carica troppo poco. Per il resto, basta contare: riforma Berlinguer-De Mauro, riforma Moratti, riforma Fioroni (messa in cantiere e mai approvata), e riforma Gelmini. Ognuna si occupava di questioni contingenti senza toccare mai i veri punti dolenti della scuola italiana; per dare l’idea, l’ultima vera riforma grossa e con progetti di lungo termine l’ha fatta il ministro Gentile. Nel 1923. Ora finalmente con la Buona Scuola ci si occupa di questioni più importanti, e non me la sento proprio di dare contro a Renzi per aver finalmente messo mano a una faccenda così spinosa.
A dare l’idea della necessità di un cambio di rotta, ad ogni modo, provvedono gli studi della Commissione Europea liberamente consultabili in rete. Allego qualche tabella, giusto per dare un’idea di come la gestione dell’istruzione in Italia abbia fallito. Se mai c’è stato un momento di agire, quello è oggi.
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