Il 15 marzo si terranno le elezioni in Olanda per rinnovare la Camera dei Rappresentanti, la principale delle due camere del parlamento olandese. In testa ai sondaggi, quasi con le stesse preferenze, si trovano il Partito per la Libertà (PVV) guidato da Geert Wilders, formazione di destra anti-europeista, fortemente ostile all’immigrazione e all’Islam, e il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) del primo ministro uscente Mark Rutte, partito liberale di centrodestra. Tuttavia a causa del complesso sistema elettorale olandese è praticamente impossibile che PVV o VVD riescano a formare un governo senza stringere coalizioni.
Il parlamento olandese è costituito da due camere: una camera bassa, eletta direttamente dai cittadini, che forma il governo e legifera, ed una camera alta, eletta indirettamente dai consigli municipali delle varie provincie che compongono i Paesi Bassi, che può solo approvare o respingere le leggi promulgate dall’altro ramo del parlamento. I 150 membri della camera bassa vengono eletti ogni 4 anni, oppure in caso di caduta del governo, tramite un proporzionale puro senza soglia di sbarramento e con una circoscrizione unica a livello nazionale. In parole povere, ciò significa che ogni partito che riesce a raggiungere il numero di elettori sufficiente a vincere un seggio (la cosiddetta quota elettorale, data dal numero totale dei votanti diviso per il numero di seggi disponibili) viene rappresentato in parlamento. Per dare un’ idea, nelle elezioni del 2012 la quota elettorale è stata 0,67%.
A causa di questo particolare sistema elettorale dal 1918 nessun partito è mai riuscito a raggiungere la maggioranza e formare un governo da solo. Inoltre mentre fino agli anni ottanta i tre partiti storicamente più importanti (i liberali, i laburisti ed i cristiano-democratici) riuscivano a conquistare più dell’80% dei voti, oggi ottengono meno del 50% a causa della crescita di formazioni alternative, tanto che nelle ultime elezioni sono stati rappresentati ben 11 partiti. La scena politica molto frammentata è resa ancora più complessa dall’esistenza di alcuni partiti testimone, cioè movimenti minoritari che si concentrano su un solo tema, come ad esempio (tra quelli presenti in parlamento nell’ultima legislatura) gli animalisti del Partito per gli Animali (PvdD), il partito dei pensionati 50PLUS, o i cristiani conservatori del Partito Politico Riformato (SGP), che si oppongono al diritto di voto per le donne e ritengono che l’azione politica debba essere guidata dalla Bibbia.
In corsa alle elezioni in Olanda del 15 marzo ci sono addirittura 28 partiti, anche se solo la metà di essi ha possibilità concrete di venire rappresentati. Secondo i sondaggi tuttavia nessun partito raccoglie più del 20% delle preferenze.
Il Partito per la Libertà (PVV) di Wilders, movimento di destra populista anti-Islam e anti-europeista, è stato considerato a lungo come primo partito, ma ora è dato al 13,5% (poco più di 20 seggi), dopo essere stato scavalcato a fine febbraio dai conservatori liberali del Partito Popolare (VVD), previsto attorno al 16%, cioè tra i 23 e i 27 parlamentari; cifre in ogni caso molto lontane dai 76 richiesti per avere una maggioranza. Dietro di loro i liberali progressisti Democratici 66 (D66), i democristiani dell’Appello Cristiano Democratico (CDA) ed i verdi di Sinistra Verde (GL), dati tutti alla pari verso il 12% (circa 20 eletti ciascuno). A seguire troviamo il Partito Socialista (SP), con poco meno del 10%, ed i social-democratici del Partito del Lavoro (PvdA) del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbleom, nel 2012 secondo partito con il 20% ma oggi crollato al 7%, e varie formazioni minori, tutte sotto i cinque punti percentuali.
Dato che sarà pressoché impossibile per Wilders trovare alleati in modo da formare una coalizione di governo, quasi sicuramente il nuovo governo sarà una grande coalizione guidata dal VVD e con l’appoggio di almeno altri tre partiti. La formazione dell’esecutivo però potrebbe richiedere molto tempo e paralizzare il Paese. Con risultati elettorali molto meno frammentari infatti nel 2010 la formazione del governo impiegò 127 giorni, nel 2012 ne servirono 54.
Il voto nei Paesi bassi non interessa solo ai cittadini olandesi, ma è monitorato con attenzione in tutta Europa, dato che i risultati potranno fornire utili indicazioni sulle prossime elezioni in Francia e Germania. L’attenzione è concentrata soprattutto sul Partito per la Libertà, che nel caso diventasse il partito più votato potrebbe dare il via ad una stagione molto favorevole per i populismi europei.
Il Partito per la Libertà (Partij voor de Vrijheid, PVV) in realtà non è un vero partito ma un’ associazione con un solo membro, il fondatore Geert Wilders, 53 anni, che ha creato il suo movimento nel 2006 dopo essere uscito dal Partito Popolare, di cui non condivideva la linea europeista. Il programma del PVV è composto da una sola pagina e si basa su un forte euroscetticismo, tanto da chiedere un referendum sull’uscita dell’Olanda dall’UE, e su posizioni radicalmente ostili verso l’Islam, proponendo di vietare il velo, la vendita del Corano e la costruzione di moschee, oltre ad uno stop all’immigrazione da paesi islamici. Tuttavia a differenza di altri partiti di destra radicale europei, spesso di ispirazione conservatrice, il PVV ha posizioni liberali e liberiste, chiedendo tagli alle tasse e appoggiando i diritti LGBT. Wilders stesso infatti ha dichiarato di avere come figure di riferimento Margaret Thatcher e Pim Fortuyn, leader della destra olandese assassinato nel 2002 da un oppositore politico.
L’Olanda ha una forte tradizione di multiculturalismo ed apertura, con il 6% di popolazione che si dichiara musulmana e 3,8 milioni di immigrati su una popolazione complessiva di circa 17 milioni, ma negli ultimi anni si sono verificati casi eclatanti di intolleranza, come gli assassinii di Pim Fortuyn e Theo van Gogh. Wilders, costretto a vivere sotto scorta e condannato per incitamento alla discriminazione, anche se non dovesse riuscire a vincere le elezioni ha già ottenuto un grande risultato politico: è riuscito a portare al centro del dibattito politico olandese i problemi dell’integrazione e dell’identità nazionale. A riprova di questo successo, molti analisti hanno spiegato la dura reazione del governo olandese nei confronti della Turchia proprio come una dimostrazione di fermezza per evitare una crescita dei consensi del PVV.
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