In America siamo ormai nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali, che è stata già di per sé uno show. La copertura mediatica si è basata più sui personaggi che sui temi, e bisogna dire che si è avuto un “cast” molto importante: l’ex favorito Jeb Bush dato già per vincitore, Ted Cruz, un cristiano fondamentalista che cucina il bacon con un fucile (‘murricah fuck yeah), il socialismo e i dank memes di Bernie Sanders, Hillary Clinton che cerca di fare la giovane… ma sopratutto lui: Donald J. Trump.
Un personaggio così controverso non poteva passare inosservato, sopratutto agli occhi della comicità e della satira. La campagna elettorale di Trump è uno di quegli eventi catalizzatori di battute e parodie, al pari dei Bunga Bunga di Berlusconi o del crollo mentale di Britney Spears nel 2007. Ma c’è un grande errore di base nella satira verso Trump: la banalità. Ormai è tutto un ripetersi le stesse battute e una reductio ad Hitlerum continua; basti pensare al monologo di Crozza sull’argomento dove parte delle battute sono sul paragone tra il magnate delle costruzioni americano e il Führer; in America siamo messi anche peggio con l’insistere con questa somiglianza e questo modo di parodiare è riduttivo e sprecato, vista la mole e l’ego del personaggio. Il film di cui parleremo oggi ha già un punto a favore: non ha nemmeno una battuta o un paragone tra Trump ed Hitler. Il film è Donald Trump’s The Art of the Deal: The Movie, un cortometraggio di 50 minuti diretto da Jeremy Konner, scritto da uno degli autori del sito satirico The Onion e prodotto dal sito comico Funny or die (ora disponibile in Italia su Netflix).
In parte si tratta di una parodia del best-seller del 1987 L’arte di fare affari, ma si presenta sopratutto come un film per la televisione ambientato nel 1988 tratto dal libro e diretto, composto, montato ed intepretato da Donald Trump. Questo già mostra l’intento dell’opera: più che la persona si parodia l’ego. Si rappresenta Trump come un megalomane che fa un film solo per celebrarsi e vantarsi, esagerando ogni cosa e rappresentando le sue malefatte come atti di coraggio denigrando qualunque avversario, che sia l’ex sindaco di New York Ed Koch o la commissione di archeologia che aveva fermato i lavori per la Trump Tower per salvare dei fregi Art Decò.
Il lato meta-cinematografico è reso estremamente bene, con una qualità video da VHS degli anni ‘80 con riferimento ai vari cliché delle commedie e film televisivi dell’epoca. Per questo ricorda il corto Kung Fury, ma mentre l’opera dei Laser Unicorns era una parodia degli action anni ‘80 qui siamo più dalle parti di Mamma, ho perso l’aereo con il bambino che fa domande a Donald sul come fa ad essere un grande uomo d’affari; la chicca è l’aver fatto cantare il tema del film a Kenny Loggins, famoso per le colonne sonore di cult anni ’80 come Footlose, Top Gun e Over the top, scelta simile a quella di Kung Fury, dove è stata fatta cantare una canzone a David Hasselhoff.
Il film ci viene presentato dal regista Ron Howard, che dice di aver litigato con una donna a un mercatino per avere l’unica copia disponibile di questo “capolavoro” che doveva andare in TV ma fu cancellato per fare posto ad un partita di football. Un’altra sorpresa di questa pellicola è il protagonista, The Donald, portato sullo schermo da nientepopodimeno che Johnny Depp, forse in uno dei suoi ruoli migliori negli ultimi cinque anni: nella parte del magnate, sotto strati e strati di trucco, ne accentua i difetti e la megalomania di fondo. Il Donald del film è un personaggio che si vanta del suo razzismo, della sua idiozia, della sua cattiveria e si lamenta della dura vita che ha avuto tra lusso e piccoli prestiti di milioni di dollari.
Johnny Depp non imita ma interpreta, cosa per nulla banale da dire; poteva portarsi a casa il ruolo esagerando la parlata o i movimenti, magari facendo volare la parrucca e invece si cala perfettamente nella parte del vero Trump e questo fa ancora più ridere lo spettatore, facendo inoltre notare le varie incongruenze del personaggio pubblico Trump rispetto al proprio passato. Donald Trump’s The Art of the Deal: The Movie non farà di sicuro perdere l’elezioni a Trump, ma è uno delle commedie più inaspettate in questo 2016, e riesce a far ridere su un personaggio del genere senza scadere in grandi banalità.
Ha cominciato a scrivere a 12 anni per il giornale della parrocchia. Poi per qualche strano motivo, è finito a scrivere su Imdi dopo la classica adolescenza complicata. Studente universitario, admin a tempo perso di Matthew Mr. Renzie e appassionato di cinema, musica, serie tv, fumetti, cultura pop e tante altre cose che non stiamo a dire che senno non è più una descrizione dell'autore ma diventa una biografia.
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