(continua dalla puntata precedente) tendendo meglio l’orecchio, tuttavia, il rumore acuto ed intermittente della motosega mi sembrava sempre meno una vera motosega e sempre più il verso di un animale. Mentre me ne stavo impalato nel corridoio vedo un minuscolo autoctono apparire in fondo al corridoio, nel mio personale Shining in piena Austria.
Mano a mano che percorreva la distanza che ci separava diventava sempre più grosso. Arrivato a qualche passo da me l’autoctono era diventato un armadio di due metri per due, con una semisfera di colore rosso acceso là dove doveva trovarsi la testa. Lo saluto con un “guten abend” al quale lui risponde con suoni gutturali. Gli chiedo se anche lui sentisse quel rumore, sorride, indica la finestra e abbaia:
“Fuchs”
Mi sporgo fuori dalla finestra per vedere se qualcuno si stia dando alla pazza gioia sotto la pioggia ma non vedo nulla. Stavolta il turno di esprimere un’occhiata bovide è il mio. L’armadio mette le mani a mo’ di orecchie e prova con l’inglese
“Ze Vokses”
Evidentemente le volpi nella foresta adiacente non erano ancora andate in letargo e avevano pensato bene di improvvisare il mercato del pesce sotto la mia finestra. Il mio interlocutore intanto si congedava e scendeva le scale ridacchiando. Lo incontrai il mattino seguente in mensa, con una scodella di latte e il fabbisogno calorico giornaliero dell’intera Costa d’Avorio in pane, fette di animale generico morto e formaggio di fronte a sè. Mi sedetti di fronte a lui e cominciai a scambiare due parole, alternando gesti, tedesco e inglese. Al contrario di quanto avevo pensato in un primo momento, Ronald (così si chiamava) non era nato in un megastore IKEA e non era nemmeno austriaco, ma tedesco della Sassonia. Mentre consumavo la mia tazza di latte con cereali e assistevo alla carneficina che avveniva dall’altro lato del tavolo, lui mi raccontò cosa l’aveva portato nel mezzo del nulla. Era uno studente della vicina Scuola Superiore tecnica, da grande voleva aprire un’officina e a testimonianza della sua passione indossava spesso la maglietta di un festival motoristico della sua regione dove campeggiava una vistosa bandiera a scacchi e un Monster Truck accompagnato da due boccali di birra. La scuola di Atene sulla maglietta, tuttavia, non era visibile a mensa: mentre mangiava il rubicondo arredamento ciarliero diventava una gigantesca macchia dai contorni confusi che proiettava pezzi di cibo a discreta distanza.
Ora, per me sarebbe facile scadere nel cliché del cibo italiano che riproposto al di fuori dell’Italia diventa vittima di intepretazioni creative, ma non posso esimermi dal tributare un ricordo alle opere d’arte che le gorgoni della mensa mi propinavano dopo le mie fatiche da stagista nell’Austria profonda: come scordarsi dei fusilli colla da un’estremità e praticamente crudi dall’altra? O della pasta col pollo, con 8-9 tipologie di pasta cotta tre ore prima il cui unico metodo di cottura era il sugo della coscia di mastodonte (non guardatemi così, è risaputo che i dinosauri sono antenati dei volatili) schiaffata con tutta la violenza e la soddisfazione di questo mondo sul piatto di pasta, con l’esplosione di schizzi di sugo della temperatura della superficie del sole? Va anche detto che la mensa dello studentato era anche quanto di più raggelante potesse offrire la cucina austriaca: la tendenza base per la cena era grossomodo “animale morto cotto”, ma una volta (era un venerdì) mi proposero un dolce come portata unica: una sorta di blob dolciastro simile ai nemici di livello 1 di ogni gioco di ruolo che si rispetti (sugli ingredienti ho preferito non indagare) con abbondanti semi di papavero. Andai a dormire quella sera e mi svegliai direttamente il lunedì mattina.
Abbandonata la colazione, andai a ripulirmi dai danni collaterali prodotti dalla carneficina operata dal buon Ronald e uscii per recarmi al più vicino centro commerciale e comprare un cavo per collegare portatile e presa telefonica. Presi l’autobus per il centro del paese: dopo dieci minuti di viaggio chiesi ad un’amabile vecchina se fossimo già arrivati a Moedling (to be continued)
Studente studioso delle Relazioni Internazionali, particolarmente interessato a temi vicini alla Sicurezza (Inter)Nazionale. Orologiaio che cerca di capire il funzionamento di un sistema composto da 7 miliardi di ingranaggi.
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