Molti di voi avranno presente il film ‘21’, dove un team di geni del MIT guidati da Kevin Spacey utilizza le proprie abilità di calcolo per sbancare i casinò di Las Vegas. Immaginatevi però di poter fare di più, immaginatevi di usare il vostro genio per provare a sbancare una intera nazione: questo era l’obiettivo di John Law, «il più innovativo mascalzone finanziario di tutti i tempi» secondo Galbraith.
Nato nell’Aprile del 1671 a Edimburgo da un padre orefice e banchiere, si trasferì a Londra nel 1692 per furoreggiare nei salotti alla moda con la sua bellezza e la sua abilità nel calcolo mentale e delle probabilità. Scoprì anche il gusto del gioco d’azzardo, divertendosi a muovere fortune sul tavolo verde. La sua vita da dandy dissoluto trovò presto risoluzione in un duello all’ultimo sangue contro un altro famoso beau del periodo, Edward Wilson. Condannato a morte per omicidio, evase dal carcere a suon di mazzette e cercò rifugio ad Amsterdam.
La città era allora la capitale e l’avanguardia finanziaria d’Europa. Vi operava da quasi un secolo la prima banca centrale istituita al mondo (la Wisselbank) e c’era la sede della più grande società commerciale del pianeta (la Compagnia Olandese delle Indie Orientali o ‘VOC’) che emetteva azioni scambiate nella prima borsa valori mai fondata.
Ben presto John Law trovò che giocare in borsa fosse molto più esaltante che giocare al casinò. Ma ancor di più fu il legame fra banca centrale, società commerciale e borsa che gli giunse come una rivelazione. C’era però qualcosa che non gli quadrava: perché se tutti desideravano acquistare azioni della VOC il loro numero era limitato? E perché la Wisselbank si rifiutava di emettere cartamoneta a differenza della Bank of England? Scrisse in una lettera ad un amico «Ho scoperto il segreto della pietra filosofale ed è trasformare in oro la carta». Il Sovrano avrebbe dovuto conferire le sue terre ad una Banca Centrale che le avrebbe usate per garantire delle banconote. Essendo la quantità di terra abnorme, abnorme avrebbe potuto essere la cartamoneta da immettere in circolazione. Certo, questo avrebbe potuto provocare un’ondata inflazionistica e proprio per evitarlo il Sovrano avrebbe dovuto nominare lui, il grande teorico John Law, a capo della nuova Banca.
Sicuro del suo progetto, quando non era impegnato al casinò, girava l’Europa alla ricerca di qualcuno disposto ad applicarlo: provò al Parlamento di Scozia, a Genova, a Venezia, a Torino. Solo porte sbarrate. Il Duca di Savoia gli rispose: «Non sono ricco abbastanza per rovinarmi».
In Francia fu diverso. Dopo la morte di Luigi XIV nel 1715 infatti il paese si trovava a fronteggiare i debiti di oltre venti anni di guerre ininterrotte. Le finanze statali erano talmente fuori controllo che non si sapeva nemmeno a quanto ammontasse esattamente il debito pubblico, forse all’astronomica cifra di 1.700 milioni di Lire Tornesi: si rischiava il terzo default. Ciò nonostante il Consiglio di Finanze non era così disperato da accettare la prima estesa e completa proposta inoltrata da Law, ma diede l’assenso solo a una seconda più limitata nel Maggio del 1716. Veniva così costituita la Banca Generale, privata, con 6 milioni di Lire di capitale versato dagli azionisti per un quarto in contante e per tre quarti in titoli di stato; alla banca veniva inoltre dato il privilegio di emettere banconote riconosciute come unico strumento per il pagamento delle tasse regie.
Secondo Law la moneta metallica costringeva lo sviluppo dell’economia di Francia. Quello che serviva era uno stimolo, che poteva essere provocato da un allargamento della base monetaria. Alla Banca Generale i torchi iniziarono a funzionare notte e giorno, fino al surriscaldamento degli ingranaggi. Il paese venne sommerso dal credito facile. Nel giro di due anni la condizione economica passò da depressione a boom. La produzione industriale aumentò di quasi la metà, le esportazioni di tre volte, Parigi si disseminò di cantieri.
Il genio salvatore era uno solo: John Law. Il valore delle sue banconote si fondava sulla fiducia riposta nei suoi confronti, ormai additato come una divinità. La stessa opinione era condivisa dall’uomo più potente di Francia, il Reggente, Filippo duca di Orleans. Lo scozzese aveva fatto di tutto per coltivare questo rapporto altolocato, soprattutto finanziando tramite la Banca ogni sorta di programma governativo, fra cui l’acquisto del diamante più grande del mondo. Presto ritenne che la relazione fosse ormai abbastanza salda da potersi presentare al Palais Royal e dire: «La Banca non è la sola né la più grande delle mie idee. Io realizzerò un’opera che sorprenderà tutta Europa con i cambiamenti che produrrà a favore della Francia – cambiamenti più grandi di quelli generati dalla scoperta delle Indie».
Nuovi progetti ancor più ambiziosi bollivano in pentola…
Continua nella seconda parte.
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