Appena quattro anni di attività, due album in studio e una manciata di singoli: è bastato così poco ai Joy Division, formazione britannica attiva alla fine degli anni ’70, per diventare una della band più influenti degli ultimi quarant’anni. Ancora adesso le loro canzoni vengono portate in tour da Peter Hook, bassista della band, per un nutrito pubblico di fan affezionati. Ma come è riuscito un gruppo dalla carriera così breve a cambiare in modo determinante la scena inglese – e mondiale – futura?
È il dicembre del 1977 quando esce An Ideal For Living, primo EP della band di Manchester: quattro brani di punk arrabbiato e acerbo in cui si possono già intravedere alcuni degli elementi caratteristici della loro musica. An Ideal For Living inizia a girare per i circuiti dell’underground locale, facendo spargere sempre di più il nome dei Joy Division all’interno della scena di Manchester. Dopo una serie di concerti in vari locali della città, i Joy Division entrano in contatto con il produttore Martin Hannett, personaggio che si rivelerà fondamentale nella creazione del distintivo sound della band.
Nell’aprile del 1979 i Joy Division cominciano le registrazioni del loro primo disco, l’iconico Unknown Pleasures. La copertina del disco, il grafico delle pulsazioni della prima stella pulsar scoperta dall’uomo, diventerà una delle immagini più rappresentative della musica popolare. Unknown Pleasures è un viaggio senza censure all’interno della mente disturbata di Ian Curtis, cantante della band: nella sua voce cupa e nei suoi testi introspettivi si ritrova tutto il disagio di un ragazzo depresso e solo, incapace di trovare fiducia nel mondo circostante. La sua voce, seppur fredda, è piena di quella rabbia punk adolescenziale che sta sconvolgendo la scena musicale inglese e mondiale.
Ma non è solo il personaggio di Curtis a trascinare i Joy Division: la batteria tribale di Stephen Morris, le ipnotiche linee di basso di Peter Hook e la glaciale chitarra di Bernard Sumner si amalgamano alla perfezione fra di loro, creando un tappeto musicale in piena sintonia con lo stato d’animo di Curtis. Grazie al ricercatissimo lavoro di raffinazione dei suoni da parte di Hannett, la musica dei Joy Division assume una sua identità precisa e riconoscibilissima, completamente innovativa rispetto alle band a loro contemporanee. I Joy Division diventano così fra i primi esponenti di un genere che verrà definito post-punk.
Appena uscito, Unknown Pleasures viene acclamato dalla critica, seppur non registrando altrettanto successo sul mercato. Durante il tour europeo per pubblicizzare il disco, Curtis conosce e inizia una relazione extraconiugale con una fotografa belga, Annik Honorè.
Nel marzo del 1980, i Joy Division tornano in studio per registrare Closer, il loro secondo e ultimo album. Sulla falsa riga del disco precedente, Closer porta l’ascoltatore sempre più a fondo nell’animo fragile di Curtis, afflitto sempre più spesso da attacchi epilettici e in completa rottura con il mondo circostante. Le sessioni di registrazioni vengono sbrigate rapidamente, in modo da essere ultimate prima dell’inizio della tournée americana della band. Ma il 18 maggio, il giorno prima della partenza, accade l’irreparabile.
Nella sua casa di Macclesfield, appena fuori Manchester, viene rinvenuto il cadavere di Ian Curtis, suicidatosi durante la notte: il giovane cantante, tormentato dal senso di colpa per il tradimento della moglie e dalla sua salute sempre più precaria, decide di togliersi la vita impiccandosi. Closer verrà pubblicato il 18 luglio 1980, segnando definitivamente la fine dei Joy Division. I tre membri rimanenti formeranno una nuova band dal genere completamente diverso, i New Order.
Nonostante la brevissima durata della loro carriera, i Joy Division riescono ad avere un impatto fondamentale su tutta la musica degli anni a venire: complice il suicidio di Curtis, il gruppo diventa ufficialmente una band di culto, con una nicchia di fan affezionatissimi che si fa via via più ampia col passare degli anni. I Joy Division, grazie ai loro testi lugubri e decadenti e alle ritmiche pulsanti, gettano le basi per tutta la scena alternativa degli anni ’80, dalla new wave al synth-pop e al gothic rock. Ma la loro influenza non si ferma di certo qui.
I gruppi che hanno beneficiato delle opere dei Joy Division sono un’infinità: dai più recenti Editors e White Lies, la cui musica è stata definita per l’appunto post- punk revival, passando per band famosissime come i Radiohead, i Cure o gli insospettabili U2, sono in tantissimi gli artisti che nominano i Joy Division fra le loro influenze musicali.
Nel 2007, il regista olandese Anton Corbjin gira il film Control, incentrato sulla breve vita di Ian Curtis e dei Joy Division. Girato in bianco e nero, il film pone l’accento sulla complessa figura di Curtis, sulle sue crisi epilettiche e sulla sua complicata vita sentimentale. Control ottiene un discreto successo, riportando a trent’anni di distanza le drammatiche vicende della band inglese.
Guardando alla storia dei Joy Division e alle pesanti ripercussioni che ha avuto nell’evoluzione della musica pop, sorge spontanea una domanda: si può ancora parlare dei Joy Division come di una band underground? È ancora valida una definizione del genere per un gruppo che ha avuto un’importanza così grande pur non avendo mai conosciuto le luci della ribalta?
Il problema fondamentale sta nel suicidio di Ian Curtis: se da un lato la morte del giovane cantante ha precluso la possibilità ai Joy Division di continuare la loro carriera, dall’altro è stata proprio questo gesto così estremo a coronare di un’aura ancora più drammatica la già di per sé tragica e deprimente musica dei ragazzi di Manchester. Ian Curtis è diventato inconsapevolmente un’icona, la rappresentazione più vera del disagio giovanile e della sfiducia nei confronti della società. I suoi testi, con il suo suicidio, si tingono di un realismo ancora più nero di quanto non lo fossero già prima.
I Joy Division sono ormai diventati più famosi di quanto non si voglia credere: il fascino enigmatico di una figura disturbata come quella di Curtis ha permesso a una band dalle enormi potenzialità di uscire dall’etichetta di band alternativa, influenzando pesantemente anche la scena più commerciale e mainstream. Basti pensare all’abusatissima copertina di Unknown Pleasures, un disegno talmente impresso nell’immaginario collettivo da quasi perdere il legame con l’album stesso ed essere ormai associata immediatamente alla figura dell’hipster.
La fama postuma dei Joy Division si è fatta talmente ingombrante da superare i confini della scena underground e scuotere sensibilmente le fondamenta della musica popolare, diventando al giorno d’oggi una di quelle band da cui non si può prescindere. I Joy Division non sono più un gruppo destinato a una piccola cerchia di seguaci, ormai fanno parte del patrimonio culturale comune. E se non avete mai ascoltato niente della loro breve ma intensissima parabola, sarebbe ora di cominciare.
14 Febbraio 2017
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