È arrivato, scontato, eppure sempre capace di muovere i sondaggi, il sostegno ufficiale del New York Times a Hillary Clinton.
Nessuna grande sorpresa considerata la storia del quotidiano, notoriamente democratico, che aveva già sostenuto la Clinton durante le primarie contro Sanders e che dal 1960 ha ininterrottamente appoggiato candidati democratici.
“In un normale anno elettorale, avremmo messo a confronto i due candidati presidenziali tema per tema. Ma questo non è un normale anno elettorale. Un paragone di questo tipo sarebbe un vuoto esercizio in una corsa in cui un candidato – la nostra prescelta, Hillary Clinton – ha un’esperienza di ‘servizio’ e una serie di idee pragmatiche e l’altro, Donald Trump, non rivela nulla di concreto su sé o i suoi piani, mentre promette la luna e offre le stelle.”
L’apertura degli editorialisti è chiara: questo non è un anno normale per la campagna elettorale americana e non può esserlo neanche il loro endorsement, basato “sull’intelligenza, l’esperienza e il coraggio” della candidata democratica e su una dura critica nei confronti di Donald Trump.
L’obiettivo dichiarato degli articolisti è quello di spingere gli elettori ancora indecisi a scegliere Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca fornendo delle motivazioni ben precise ed argomentate, non semplicemente perché “non è Donald Trump”.
La storia professionale e politica della candidata democratica la precede: otto anni da first lady, otto anni da Senatrice e quasi quattro anni da Segretario di Stato le hanno permesso, grazie alla sua tenacia e alla sua intelligenza, di accumulare una certa esperienza sul campo e di guadagnarsi la stima anche di politici repubblicani.
Gli errori durante gli anni di servizio ci sono stati, dal voto a favore dell’intervento in Iraq fino a quello in Libia, ma i successi da lei ottenuti e i progetti portati avanti sono altrettanto lampanti: basti pensare alle sue campagne per i diritti delle donne o alla sua linea sulla politica estera che ha permesso agli Stati Uniti di riacquistare credibilità dopo gli anni tormentati della presidenza Bush.
La nostra epoca è attraversata da numerosi problemi, le sfide da affrontare per gli Stati Uniti sono tante, sia interne che estere: il terrorismo, la crisi economica e, non ultima, la questione razziale che anche in questi giorni sta mettendo a dura prova l’unità del Paese; il programma della Clinton può essere condivisibile o meno, ma è indiscutibilmente dettagliato e puntuale su tutti gli argomenti più importanti, mentre quello di Trump risulta velleitario, poco realista e a tratti bigotto.
La critica che il New York Times rivolge al candidato repubblicano è dura: si parla addirittura della “peggior candidatura degli ultimi tempi”. Gli Stati Uniti non hanno dunque bisogno di nessuno che prometta muri, guerre ed espulsioni, ma di un presidente “adulto”, realista, che capisca l’importanza del paese di cui è alla guida nel quadro internazionale.
Hillary Clinton aveva già ricevuto l’appoggio di numerose testate, tra le quali anche alcune storicamente repubblicane come il The Cincinnati Enquirer e The Dallas Morning News. Tutti, però, aspettavano la parola del New York Times che, per quanto scontata, è sempre in grado di spostare voti e di cambiare le carte in tavola. Il suo sostegno peraltro è ben argomentato, fondato non solo su un elogio della candidata appoggiata (che per alcuni versi risulta essere anche più efficace della campagna della stessa Clinton) ma anche su una critica forte al suo avversario.
Il mondo anglosassone è abituato a questo tipo di editoriali, soprattutto oltreoceano: i quotidiani statunitensi hanno un “editorial board” ben distinto dal resto dei giornalisti che fanno cronaca. L'”editorial board” stabilisce la linea del giornale, ne scrive i principi e non influenza in alcun modo il lavoro degli altri. Sostenere apertamente uno dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti è quindi una tradizione che si ripete ogni 4 anni da decenni: il primo edorsement del New York Times fu quello per Abraham Lincoln nel 1860.
In Italia avere un giornale così precisamente schierato da una parte o dall’altra è raro: i quotidiani tendono a mantenere sempre la linea del “politicamente corretto”, a volte anche fornendo un sostegno falso che ha solo l’effetto di confondere i fruitori degli articoli. Aver ben presente il pensiero di chi scrive e la linea editoriale di una determinata testata, invece, aiuta il lettore a leggere le notizie nel modo migliore e gli permette di scegliere il quotidiano più vicino alle proprie idee.
Probabilmente non sarà questo endorsement a cambiare le sorti delle elezioni statunitensi, ma sicuramente è uno snodo importante della campagna elettorale. Solo i sondaggi sapranno dirci come l’opinione pubblica risponde a questo genere di articoli, oppure semplicemente lo scopriremo l’8 novembre.
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