Chi scrive non è un sostenitore di Trump. Nemmeno della Clinton, beninteso, ma sicuramente non di Trump. Avrei puntato tutto sull’elezione a presidente della candidata del Partito Democratico, perché sembrava lo scenario più probabile. Ma la vittoria schiacciante del Partito Repubblicano, che ora controlla Camera, Senato e Presidenza, è arrivata come un fulmine a ciel sereno, e non c’è scappatoia.
Non è un’iperbole. Non è un luogo comune. Un paragone onesto fra le politiche proposte dai due candidati dava la Clinton come scelta ovvia, ma se la scelta è fra mangiare un container pieno di merda e mangiarne soltanto un barile, la seconda è l’opzione migliore, ma fa ugualmente schifo (e sulle politiche che avrebbe attuato la Clinton torno più tardi). Su parecchi temi, in effetti, la posizione della Clinton era molto più solida ed efficace di quella di Trump (come si è visto, in effetti, ai dibattiti, dove Trump ha fatto figure bruttissime), con il piccolo problema che la Clinton ha già apertamente ammesso che sulle questioni un politico deve avere una posizione pubblica e una privata. A queste condizioni, un elettore come si può fidare? Oltretutto le politiche sono magari efficaci, ma se non vengono unite ad una capacità di convincere la folla della loro bontà, queste non verranno mai applicate. Non è vero che un libro non va giudicato dalla copertina: in politica non ci si può aspettare che un elettore che lavora undici ore al giorno per il salario minimo sia disposto a mettersi a spulciare le analisi economiche per farsi un’idea delle politiche di un candidato (senza peraltro poterci capire qualcosa, visto che occorre una preparazione di un buon livello per digerire certe informazioni). O questo sa presentarsi bene o gli elettori nemmeno vanno a valutarne le politiche.
A mio avviso, comunque, il problema più grande coi candidati è il loro elettorato, che sta aprendo una frattura gravissima all’interno della società americana. Un presidente di sinistra può provare a fare il presidente di tutti, ma ascolterà comunque con più attenzione le istanze provenienti dalla sinistra che li ha mandati al potere; idem per un presidente di destra. Ma sia il candidato repubblicano che quello democratico, quest’anno, erano sostenuti dalle fazioni più tossiche della sinistra e della destra.
Trump aveva il sostegno dell’alternative right; parliamo di un movimento che, per dirla con le parole del suo fondatore, punta ad un’egemonia culturale talmente forte che i sostenitori della sinistra si ritrovino marginalizzati come i pedofili che si scambiano le foto in segreto nei forum del deep web. Parliamo di un movimento che brucia le chiese dei neri e ci scrive sopra “vota Trump” e composto da suprematisti bianchi, antisemiti e simile spazzatura. Un’ideologia da mondare con il fuoco purificatore del cherosene.
Dall’altra parte, Clinton. L’ex segretaria di stato, per attirare l’elettorato deluso di Sanders, si è spostata molto a sinistra su temi per loro importanti come i debiti che si deve accollare chi vuole garantirsi un’istruzione. Ma i liberali americani hanno già compiuto tutto ciò che l’alt right vuole fare. Il fondatore dell’alt right vuole l’egemonia culturale e marginalizzare i simpatizzanti della sinistra? In ambito accademico i liberal hanno il pieno controllo e tale discriminazione la stanno già perpetrando. L’alt right è ritenuta sessista perché ritiene che nell’esercito non ci debbano entrare le donne? È certamente discriminante, ma parliamo anche dei liberal addirittura vogliono un sistema giudiziario separato per trattare con più clemenza tutti e soli i crimini compiuti dalle donne. Vogliamo criticare la violenza dei supporter di Trump? Facciamolo pure, perché sono effettivamente violenti. Ma se non critichiamo anche la violenza degli ambienti di sinistra vuol dire che stiamo soltanto cercando scuse per attaccare una persona e non un atteggiamento incompatibile con la società.
Anche la regressive left è un’ideologia da mondare con il fuoco purificatore del cherosene, ma finché a sinistra continueranno a strizzarci l’occhio per amor dei voti, i moderati saranno sempre più schifati. Queste ideologie vanno sradicate, o la frattura in seno all’America crescerà troppo per essere sanata.
Va chiarito che Trump (come ogni movimento di protesta) non nasce da solo. Trump è cresciuto nel malcontento per le politiche della sinistra e ha tratto forza dagli eccessi della parte politica che lo avversa. Un esempio, il più banale, è la politica dei “trigger warning” e delle “microaggressioni” che è in forza negli ambienti accademici americani. La sinistra americana ha cagato fuori dalla tazza troppo platealmente, e per troppo tempo; a forza di sentirsi dire che sono oppressori, privilegiati e ignoranti (sull’ultima accusa, a onor del vero, va detto che non si va nemmeno troppo distanti dalla verità) i maschi bianchi hanno battuto il pugno sul tavolo e hanno dato un giro di vite alla politica. Il lato positivo è che la regressive left ha finalmente preso la prima vera scoppola degli ultimi otto anni; il lato negativo è che a vincere è l’alt right. Ma, ora che Trump è stato eletto presidente, forse a sinistra impareranno che spocchia e paternalismo non pagano.
Hillary ha perso perché il Partito Democratico non ha saputo rinnovarsi. Va detto che le politiche di Obama, a livello economico, funzionano, ma Hillary ha pensato di capitalizzare solo sul successo di altri senza proporre qualcosa di proprio; al contrario, Trump ha dipinto un proprio quadro dell’America (a tinte piuttosto fosche) e ha funzionato. Il Partito Democratico ha fatto il grande errore di riproporre come eleggibile un vecchio arnese che è in politica da prima ancora che nascessi, pieno di incongruenze, con un po’ troppi scandali da gestire e peraltro pure incapace di infiammare le folle.
Anzi, ne aveva indubbiamente più della Clinton. Ma Trump, oltre a essere stato capace di farsi apprezzare dal pubblico, è un populista, e i populisti a queste minuzie come gli scandali sono invulnerabili. Per battere i populisti occorre essere ancora più populisti o attrarre i moderati, e la Clinton non ha fatto né l’una né l’altra cosa. Obama, ai tempi, aveva creato un grande movimento a suo favore con lo slogan efficacissimo “yes we can”. Aveva emozionato le persone e portato dalla sua le masse; ha distrutto gli avversari. Hillary, invece, no. Ora gli americani si terranno quattro anni di Trump; non possiamo pensare di sapere ora come andranno le cose, perché un candidato così non l’abbiamo mai visto. Probabilmente molto del suo (arioso) programma non verrà portato a termine, per un motivo o per l’altro, e intonare ora il requiem degli USA è prematuro. Il requiem, invece, lo possiamo intonare per la sinistra, che dopo la scoppola in GB con la Brexit, quella in Germania con le regionali vinte dall’AfD e infine quest’ultimo colpo in America, forse è il caso che cominci a pensare al fatto che la politica è qualcosa in più dei numeri, e per essere eletti bisogna saper convincere il popolo.
Questa, è chiaro, non è etica. Ma è realismo, e dovrebbero chiedersi, in America, se davvero non c’erano candidati migliori che non fossero schiavi di ideologie fasciste. Davvero il meglio che l’America ha da offire è il populismo più becero da una parte e una politica di lunga data, senza carisma, dall’altra?
P.S.
Fun fact: il sito per emigrare in Canada è in down. Cosa voglia dire è un giudizio che lascio ai lettori curiosi.
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