Salve, sono Frullo, forse mi ricorderete di me da articoli come “Chi seguire su Twitter” e “Guida ai social network minori“. A sto giro torno a parlare dell’aberrante piaga delle comunità online e del web 2.0 soffermandomi su un caso di forte pregnanza patologica: Linkedin.
Partiamo da un presupposto: l’idea di un corrispettivo di Facebook (in realtà Linkedin è stato lanciato quando Zuckerberg era ancora al liceo, ma son dettagli) per il mondo professionale, dove al posto di foto degli addominali e duckface la gente si fa vedere incravattata, e invece di postare foto di gattini pubblica il proprio cv, non è del tutto sbagliata, anzi. Che ci crediate o no, tra le mie mansioni da consulente rientra anche la gestione di alcuni gruppi su Linkedin. Inoltre, quando ho un appuntamento professionale con qualcuno, mi risulta più utile farmi un idea della persona cercandolo su Linkedin piuttosto che su Facebook o Google. Esistono gruppi frequentati da professionisti di settori specifici che non scrivono solo per lamentarsi e/o per autopromuoversi, lasciando spazio a conversazioni interessanti. Tutto ciò non significa che Linkedin non sia pieno di gente assolutamente irritante e/o incompetente, ogni giorno di più.
Fino a poco tempo fa, tra le comunità online, Linkedin poteva venire tranquillamente ignorato e lasciato a coloro per i quali aveva senso, cioè i dirigenti e i direttori del personale che avevano bisogno di giustificare il proprio stipendio da 10mila netti con qualcosa che non fosse il Solitario di Windows o il sesso orale con la segretaria, e quindi hanno trovato perfetto per lo scopo un social network che nessuno usava veramente e che di cui quindi nessuno capiva veramente qualcosa. Poi un giorno sono successe due cose orribili e connesse tra loro:
Il risultato? Una fiumana di stronzi che mi inviano la richiesta di contatto su Linkedin dopo che li avevo aggiunto su Facebook per avere amici con cui spammarci i regali sui giochi della Zynga (sì, è abominevole, but I’m not the only one) o, peggio, dopo averci scambiato tre parole al bar dal terzo spritz in poi. Queste anime speranzose che sperano di attirare magicamente l’attenzione delle HR di Google una volta arrivati ai cento collegamenti in realtà non sono il vero problema, perché di solito sono troppo in soggezione della seriosità di Linkedin per mettersi a spammare e lo abbandonano appena rinunciano a diventare “Social Media Strategist” o quel che è e tornano a fare i camerieri in nero.
Il problema sono i persistenti, quelli che per qualche motivo prendono Linkedin dannatamente sul serio, tra spam, leccate di culo, discorsi completamente inutili nei gruppi e quant’altro. Senza pretesa di essere esaustivo, ecco alcuni dei vari comportamenti che ho visto più volte su Linkedin e che compromettono la pazienza di quei quattro sfigati che, come me, lo usano davvero per lavorare.
Forse gli esempi sopra citati non vi sembreranno così terribili, considerati tutti gli stronzi che infestano gli altri social network. Su Linkedin, però, il fastidio aumenta esponenzialmente a causa dell’insensata difficoltà nel bloccare i contatti e nel bannare la gente dai gruppi e perché per ogni stronzata che succede su Linkedin ti arrivano una media di 18 email di notifica. A cosa serve Linkedin, quindi? Vale quindi la pena di farsi un profilo su Linkedin e di partecipare ai gruppi nonostante tutte queste rotture di coglioni? Un esperto di SEO direbbe di sì, che serve per l’indicizzazione su Google blablabla. Io vi dico: fate un po’ quel cazzo che vi pare, se proprio dovete farvi anche voi un profilo invece di giocare a burraco al bar Gianni non sarò io a fermarvi.
Ah, ultima cosa: su Linkedin non è difficile trovare le bottane, anche la professione più antica del mondo trova la sua rappresentanza insieme ai social media salcazzo e ai techical director vattelapesca. Se ciò possa essere un incentivo o disincentivo ad usarlo, non saprei. Sta di fatto siamo arrivati a un livello di saturazione del web 2.0 che probabilmente ha più senso usare i social da marpioni tipo Badoo per trovare lavoro e usare Linkedin per rimorchiare.
Marchetta: se vuoi scoprire di più sulla storia di internet dal 2000 ad oggi, è uscito il mio ebook/libro Facebook killed the Internet Star
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