Luci e ombre. Pieno e vuoto. New York è una città fatta di contraddizioni, di luci abbaglianti che nascondono alla vista una seconda realtà, fatta di angosce e vicoli bui. È proprio in questi vicoli che a cavallo tra gli ultimi anni ‘80 e i primi nineties cominciano a comparire alcuni misteriosi poster, affissi a qualche parete: manifesti recanti solamente una scritta, Cop Shoot Cop. Un silenzioso grido di protesta dai bassifondi, contro un corpo di polizia accusato di essere violento e repressivo. La voce inizia a spargersi, la curiosità si desta, ma nessuno ancora sa chi o cosa si cela dietro a quel moniker.
Dopo un periodo passato nel sottobosco musicale, durante il quale la band ha prodotto due EP, i Cop Shoot Cop sono scritturati da una piccola label che nel 1990 pubblica il loro primo disco: Consumer Revolt. Sin dal primo brano, Low.Com.Denom, l’ascoltatore si trova alle prese con suoni distorti, samples rivoltati e linee di basso taglienti: un incrocio tra noise e industrial-rock violento e senza compromessi, una terribile e macabra critica alla città di New York e alle ipocrisie della società moderna. Le influenze spaziano dall’industrial dei due decenni passati (Throbbing Gristle e Foetus) al punk, per arrivare alla new-wave claustrofobica dei Pere Ubu e persino al blues-rock. Il disco è suonato con due bassi, due sampler, una batteria e nessuna chitarra, peculiarità che contribuisce a creare l’atmosfera violenta e straniante che si respira nelle tredici maestose tracce del primo capolavoro dimenticato del gruppo.
Nel 1991 avviene il passaggio alla Big Cat Records (etichetta specializzata in musica industrial e noise, che ha pubblicato artisti come Foetus e i Pavement) e la band pubblica White Noise: la rabbia cieca dell’esordio si mitiga parzialmente per dare spazio a un noise-rock meno diretto, ma al contempo carico di una cupa e rassegnata inquietudine, che si può ascoltare nell’ossessiva linea di basso di Chameleon Man e nei rumori ossessivi dell’emblematica (sin dal titolo) Empires Collapse, visionario viaggio negli incubi metropolitani guidato da trame di samples e percussioni marziali.
Dopo un timido EP, intitolato Suck City, i Cop Shoot Cop firmano per la più nota Interscope, che dà alle stampe quello che è da molti considerato l’apice della loro breve ma incredibile carriera, nonché uno dei capolavori di tutta la musica industrial: Ask Questions Later. Il disco è una fusione degli spunti che avevano caratterizzato i due precedenti lavori e crea un equilibrio fra il terrorismo sonico dell’esordio e il noise più ovattato di White Noise. La scrittura dei brani è più ragionata, complessa e in un certo senso quasi melodica (per quanto possa essere melodica la musica industrial), senza perdere l’irruenza e l’atmosfera straniante che ha sempre contraddistinto il loro sound. Questa commistione sonora perfetta si può apprezzare già dall’iniziale Surprise, Surprise, grintosa critica alla politica degli Stati Uniti (“And dictators are swell if they like the smell of american money”), che parte con toni quasi blues-rock per finire in un crescendo sempre più potente e violento (forte dell’influenza di Foetus). La seguente Room 429 è uno dei capolavori del gruppo e forse dell’industrial-rock in generale: una canzone toccante, disperata e claustrofobica, che tocca temi quali droga e alienazione, molto più nota al grande pubblico nella reinterpretazione degli Strapping Young Lad. Seguono altri brani di livello altissimo, che culminano nell’apocalittica All The Clocks are Broken, in cui la voce di Tod Ashley guida l’ascoltatore in un ultimo guizzo prima del declino finale.
L’anno successivo viene pubblicato Release, l’ultima fatica discografica del gruppo. Le sonorità dell’album sono ancora più levigate, avvicinandosi in alcuni momenti all’alternative-rock, senza comunque snaturare lo stile del gruppo e senza rinunciare a regalare all’ascoltatore brani di qualità, come l’alienata Ambulance Song.
I Cop Shoot Cop si sono guadagnati nel tempo uno status di band di culto, amata dai fan della musica industrial e da ascoltatori che volgono le proprie orecchie decisamente al di fuori dei territori mainstream, ma sono rimasti praticamente ignorati dal grande pubblico. Come spesso succede, i loro dischi hanno venduto pochissimo e sono diventati irreperibili nel giro di pochi anni, fino all’uscita di qualche ristampa diversi anni dopo. Nonostante ciò, la loro breve carriera ha lasciato all’umanità tre capolavori assoluti che hanno lasciato un marchio indelebile nella storia della musica industrial.
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