Una formazione piena di eccellenze per Collateral Beauty, la nuova pellicola post-natalizia in cui il premio oscar David Frankel dirige i pluripremiati e plurinominati Will Smith, Edward Norton, Kate Winslet e Keira Knightley. Un progetto ambizioso che, almeno dal trailer, sembra voler riproporre il dickensiano schema di A Chrismas Carol, dove – a sostituire i tre illuminanti fantasmi del passato, presente e futuro – ci sarebbero tre entità impersonificate ma non meno astratte: morte, amore e tempo.
Un cast stellare, un trailer estremamente intrigante e una campagna marketing ben curata hanno contribuito a creare delle aspettative altissime, che sono state puntualmente deluse. Ecco i tre motivi che spingono a odiare profondamente Collateral Beauty:
Nella prima parte del film, le tessere del domino vengono presentate come un simbolo abbastanza centrale, preannunciando equilibrio e precisione; a ciò va aggiunta la continua ripetizione — sempre nella parte iniziale — delle tre entità sopraelencate, quasi a sottolinearne il numero per rimandare a una futura evoluzione della trama che si dividerebbe quindi in modo simmetrico e ordinato.
Cosa che relativamente avviene, infatti il filone narrativo del protagonista, Howard, interpretato da Will Smith, non è l’unico a svilupparsi: altri tre protagonisti sono presenti, ognuno con la propria sottotrama a fare da contrappeso ai tre personaggi che impersonificano rispettivamente l’amore, la morte e il tempo.
Anche le inquadrature giocano con questa simmetria, calcando ancora di più la mano su un equilibrio che poi non viene assolutamente rispettato; i piatti della bilancia vengono destabilizzati dalla presenza di un’altra coprotagonista, e anche la simmetria concettuale delle tre entità non ha nemmeno il tempo di presentarsi che già viene distrutta dalla presenza incombente — ma meno palese — dei soldi, prima, e della ipotetica bellezza collaterale, dopo.
È proprio il denaro a essere centrale in una storia che in realtà lo vorrebbe — almeno dai proclami iniziali: «Amore, Tempo, Morte. Queste tre cose mettono in contatto ogni singolo essere umano sulla Terra» — marginale, ma allo stesso tempo il denaro diviene il motore della maggior parte delle azioni dei protagonisti.
Il filone centrale si evolve in modo abbastanza incostante partendo da un buco di trama iniziale: il protagonista si recherebbe ogni mattina da due anni a imbucare la posta, ma ciononostante vengono trattate solo tre lettere nel film, come se fossero le uniche scritte.
Potenzialmente Collateral Beauty avrebbe tutti i presupposti per essere una storia avvincente, eppure si perde in tre enormi filoni secondari che non riesce nemmeno lontanamente a gestire, tre storie che meriterebbero ognuna una pellicola a sé stante e che invece vengono sviluppate in modo raffazzonato nonostante la curiosità che naturalmente suscitano nello spettatore.
Nel finale si scorge un patetico tentativo di ripiegamento sul filone centrale con un doppio colpo di scena abbastanza prevedibile e relativamente fuori luogo nell’economia della trama.
Il copione, nonostante i difetti, è recitato da attori che sicuramente sanno fare egregiamente il proprio mestiere; e infatti non sono tanto le loro interpretazioni a lasciare a desiderare — nonostante si abbia una strana sensazione di déjà vu in alcuni momenti topici di Will Smith — quanto il contenuto dei dialoghi.
Non deve essere un lavoro facile rendere interessanti dei dialoghi sull’amore, il tema più gettonato della storia: figurarsi affrontare contemporaneamente, con le giuste parole, altre due grandi tematiche come la morte e il tempo. Ma non deve essere facile nemmeno fare peggio di così. Lo spettatore deve infatti sorbirsi un citazionismo forzato e non necessario: si discute del tempo passando dal fare riferimenti alla teoria della relatività di Einstein al citare senza apparente motivo Huxley; non migliori le battute sull’amore, poco originali e per niente struggenti nonostante l’impegno della Knightley e di Norton.
Ogni battuta, inoltre, è condita da numerosi primi piani che alla lunga finiscono per diventare irritanti.
Siamo persone semplici, vediamo un bel trailer, ci aspettiamo di vedere un bel film; ma in questo caso particolare non è semplicemente la differenza di emozioni provocate dalla pellicola a essere deludente, quanto un’iniziale sensazione di presa in giro che — come spesso accade — rischia di turbare lo spettatore ribaltando il preconcetto sul prodotto.
Preconcetto che diventa e rimane negativo nel caso di Collateral Beauty, un film che non si conclude, con riflessioni che non vengono approfondite, e significati e significanti che rimangono appesi: la bellezza collaterale è la connessione a tutto, il problema è che il segnale è troppo basso.
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