«I feel really sorry for the next city», poi In My Time of Dying e giù il sipario. Il 17 maggio del 2017 Chris Cornell muore suicida e con lui se ne va una delle ultime icone della musica, ancor prima che del rock.
Chris Cornell nasce a Seattle il 24 luglio del 1964. Lui, Un figlio della X Generation, un arrabbiato come d’altronde ce n’erano tanti a quel tempo nel triangolo magico (maledetto?) Seattle-Aberdeen-Kirkland. La sua è una storia che inizia subito in salita: la difficile situazione familiare con il divorzio dei genitori, la depressione e la solitudine opprimente. Poi, la musica.
Chris Cornell comincia come batterista, poi passa alla chitarra; lui però è soprattutto voce, intensa e rotta, con cui insieme ai Soundgarden canta con forza e sensibilità le struggenti difficoltà della sua generazione, con uno stile cupo e l’aria maledetta che avevano i cantanti di Seattle tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 e che finì per trascinare tutto il mondo dell’ epoca lì, a Seattle, facendola diventare il centro nevralgico di quella che ad oggi è da molti considerata come l’ultima era rock: il grunge.
All’ inizio del 1990 un forte tumulto scosse la vita di Cornell: la prematura morte di Andrew Wood, frontman dei Mother Love Bone, altra realtà grunge, nonché suo grande amico e coinquilino. Alla sua memoria venne dedicato uno degli album più belli del genere e di conseguenza di tutti gli anni ’90, l’omonimo Temple of the Dog: a tratti duro e a tratti straziante, l’album è fortemente segnato dal dolore lancinante per la scomparsa dell’amico. Cornell proprio in quell’episodio si rese protagonista della nascita di un’altra tra le più grandi band grunge: dalle ceneri dei Mother Love Bone e dei Temple of the Dog nacquero i Pearl Jam, nei quali per una collaborazione, nella bellissima Hunger Strike ed alcuni cori, partecipò anche Eddie Vedder.
Tornato in studio con i Soundgarden, negli anni successivi incise i due album di maggior successo della discografia del gruppo: Badmotorfinger (1991) e Superunknown (1994). Quest’ ultimo in particolare, vera pietra miliare della band e del movimento di Seattle, annovera brani indimenticabili come Fell on Black Days, Spoonman, The Day I Tried to Live e il capolavoro assoluto Black Hole Sun. Poco dopo morì suicida un’altra icona della scena di Seattle: Kurt Cobain, cantante dei Nirvana.
I Soundgarden pubblicarono Down On the Upside (1996), prima di sciogliersi. Successivamente, Chris Cornell scrisse Euphoria Morning (1999) che, nonostante il modesto riscontro di vendite, gli valse una nomination ai Grammy Awards come miglior performance rock vocale maschile.
Con il nuovo millennio Cornell accantonò la sua carriera solista e, insieme ai Rage Against the Machine orfani del cantante Zack de la Rocha, mise su gli Audioslave, scostandosi per la prima volta dal tanto amato grunge in maniera netta a favore di un sound fortemente caratterizzato dalle chitarre di Tom Morello e dal suo rock quasi campionato. Poco dopo uscì l’omonimo Audioslave (2002), lavoro più importante della nuova formazione capitanata da Cornell, che comprendeva le hit Cochise e Like a Stone e la meno celebrata Getaway Car. Nello stesso anno moriva per overdose Layne Staley degli Alice in Chains.
Successivamente gli Audioslave pubblicarono Out of Exile (2005) e Revelation (2006) prima di sciogliersi per divergenze artistiche, lasciando nuovo spazio alla carriera solista di Cornell e alla sua svolta pop con Carry On (2007), che tra le altre conteneva una cover di Billie Jean di Michael Jackson e You Know my Name, colonna sonora del film Casino Royale della saga di James Bond. A questo seguì, ripercorrendone la virata pop, Scream (2009), con addirittura una impensabile fino a qualche anno prima Part of Me, in cui figura la produzione di Timbaland.
Nel 2010 colpo di scena: i Soundgarden tornano insieme e a distanza di due anni incidono King Animal (2012), dal quale verrà estratta Live to Rise come colonna sonora del film The Avengers. Negli anni sucessivi Cornell sugella il ritorno in grande stile con Higher Truth (2015), album acustico di uno spessore totalmente superiore ai due precedenti lavori solisti che riconsegnò grande credibilità al cantante di Seattle. Circa due mesi dopo Scott Weiland degli Stone Temple Pilots morì a causa di un’ overdose.
E infine siamo ad oggi, in quel di Detroit (al Fox Theatre per l’ esattezza) è il 17 maggio e Chris Cornell è sul palco come sempre da ormai oltre trent’anni. Il concerto sta finendo, Cornell regala un bis, un altro, uno dei tanti nei tanti anni di carriera, ma questa volta è diverso. Questa volta è l’ultimo. Cornell canta In My Time of Dying, saluta tutti e se ne va: come Andrew, Kurt, Layne e Scott prima di lui, Chris Cornell si toglie la vita. Così la controversa e maledetta storia del grunge perde anzitempo un’altra penna e voce indimenticabile.
3 Aprile 2017
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