<<Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio é discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.
L’inferno dei viventi non é qualcosa che sarà; se ce n’é uno é quello che é già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo é rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non é inferno e farlo durare e dargli spazio.>>
Avete appena letto la conclusione del libro Le città invisibili, dal mio punto di vista capolavoro assoluto di Italo Calvino, non tanto per la linea narrativa (anche perchè come saprà chi conosce l’opera non ne esiste una vera e propria) quanto per la struttura che ricalca in maniera maledettamente lucida la nostra concezione di modernità in seguito all’avvento di Internet. Il libro appartiene al periodo “combinatorio” dell’autore, giocando sulle combinazioni nascoste negli elementi atomici dell’opera: nel dialogo tra Marco Polo e Kublai Khan vengono descritte 55 città “invisibili” (il termine gioca sul fatto che anche all’interno del romanzo, i personaggi non sono in grado di discernere le città reali dai luoghi immaginari della memoria e dell’immaginazione), citate con un ordine casuale ma suddivisibili in 11 categorie. Al lettore è lasciata così piena libertà di movimento nell’esplorazione del testo.
Il romanzo è pubblicato per la prima volta nel 1972, a quei tempi esisteva solo Arpanet, un progetto segreto dell’esercito americano: internet come lo conosciamo noi nascerà solo nei primi anni ’90. Tuttavia vari elementi dell’opera diventano per me emblemi che la rendono una metafora anticipata del web e fanno dello scrittore italiano un vero e proprio visionario. In primis la struttura ipertestuale dell’opera di Calvino, che svincola il lettore da un’ordine imposto lasciandogli piena libertà di movimento. In secondo luogo la presenza di queste isole sospese -“non luoghi“- senza una consistenza definita, che prendono vita solamente dal dialogo, dalla parola di Marco Polo (mi riferisco quindi alle pagine web). In ultima battuta la preoccupazione per il sovraccarico di informazione (information overload), dato dall’essere costantemente sommersi da stimoli che raramente riusciamo ad organizzare e immagazzinare. E’ questa dal mio punto di vista la vera perla dell’opera: la perfetta descrizione della condizione dell’uomo moderno, con 40 anni di anticipo. A noi tutti è lasciata infinita libertà di movimento nell’ambito della conoscenza, ma non siamo in grado di stabilire un ordine per uscire da questo caos da cui siamo sommersi.
Parto da qui e dalla soluzione di Calvino per scappare dall’Inferno dei viventi (“cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non é inferno e farlo durare e dargli spazio”), per concludere anch’io questa riflessione provando a lasciare un consiglio ai lettori (non me ne vogliano i più affezionati seguaci dello scrittore e gli esperti di letteratura per l’interpretazione, e l’abbassamento di tono dell’articolo).
Siamo quotidianamente sommersi di informazioni: ogni volta che entriamo su internet ci perdiamo tra i nostri account, le mail e i post dei nostri contatti. Tuttavia ci sono 5 semplici mosse in grado di salvarci la vita senza troppo impegno:
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