Leggendo la lunga lista di problematiche (sia riguardanti le batterie che non) che riguardano l’attuale modello di auto elettrica, chiunque sarebbe portato a pensare che l’elettrico sia una tecnologia già fallimentare in partenza (come nel passato) e spinta da gruppi sociali paragonabili a dei green hippies.
Va riconosciuto che i vantaggi nell’impiego dell’elettrico ci sono. La possibilità di abbassare le emissioni nei luoghi ad alta densità abitativa (ambienti urbani e metropolitani), spostandole nei centri di produzione di energia, aiuterebbe a ridurre la concentrazione degli inquinanti e a migliorare la qualità dell’aria nelle nostre città, divenute punti critici in questo senso fin dai tempi della motorizzazione di massa. Uno scenario molto interessante aperto dal veicolo elettrico è il permettere di applicare sistemi di controllo della stabilità del veicolo in maniera meno complessa: gli attuali sistemi di controllo di trazione integrale ad alte prestazioni hanno per necessità 3 differenziali, un cambio di velocità e, nei sistemi più avanzati, dei gruppi dei riduttori epicicloidali attuati da delle frizioni.
Con l’elettrico tutta questa complessità sparirebbe, con notevoli risparmi sul peso a livello di componenti di trazione e soprattutto inerzie rotazionali molto più basse, fattore che aumenterebbe l’efficienza e avrebbe anche impatti sulla manutenzione, ma che soprattutto contribuirebbe a scaricare sempre la potenza giusta a terra, arrivando addirittura a poter effettuare una curva con angolo di sterzo nullo o quasi.
Per non parlare della prestazione pura del motore elettrico. Con la coppia disponibile praticamente già da fermi le performance di accelerazione sono di gran lunga superiori a qualsiasi motore termico. Tanto che una piccola monoposto costruita da studenti è in grado di umiliare in accelerazione una delle tre più performanti supercar ibride di sempre.
Nonostante tutto, i problemi connessi alla presenza delle batterie rimangono, ma basta distaccarsi un attimo dal nostro concetto attuale di auto e guardare ad altri modelli di mobilità. Pur mantenendo la proprietà privata, non c’è alcun motivo per cui il modello di trasporto ci vincoli a dei rifornimenti saltuari e non costanti. Ad esempio si può prendere in considerazione come si muovono i tram, magari applicando tecnologie recentemente studiate per gli smartphone. Negli ultimi anni la ricerca si sta concentrando su sistemi di ricarica induttiva per eliminare la necessità di un cavo e alleggerire l’utente dell’onere di collegare il veicolo alla rete elettrica.
I modelli statici già esistono e funzionano, e probabilmente a brevissimo entreranno in commercio (la prima ibrida di serie ad installare questa tecnologia è prevista per il prossimo anno). Esistono già sistemi dal 2003 sui bus elettrici torinesi, con qualche problema di prestazione, e anche in Corea del Sud dal 2013 stanno sperimentando questo modello di carica nelle aree di sosta. Ma l’obiettivo è andare oltre, arrivare alla carica induttiva su strada, sia in condizioni di brevi fermate (ad esempio al semaforo) che in marcia anche ad alte velocità, cosa che è attualmente allo studio nel Regno Unito.
Ovviamente saranno necessari studi di fattibilità tecnica e non è detto che la cosa sia sostenibile per la nostra salute. Per potenze molto minori riguardanti onde radio come il Wi-Fi e i cellulari gli studi sono ancora ampiamente dibattuti. Serve specificare che non esistono rischi per gli occupanti del veicolo, che essendo un oggetto metallico chiuso funge da gabbia di Faraday schermando i campi magnetici, soprattutto nella zona del sottoscocca. Purtroppo non si può dire lo stesso per gli utenti esterni (ad esempio i pedoni che attraversano la strada o la fauna locale), che potrebbero risentire del campo magnetico generato. Superato questo scoglio, che probabilmente vedrà necessità di fine tuning dei sistemi per rientrare sotto un livello accettabile, la tecnologia sembra promettente.
Gli scenari aperti da tale soluzione sono ancora più promettenti, perché pensare una gestione integrata del nostro fabbisogno energetico, includendo praticamente tutto il sistema di trasporto, porterebbe ad efficienze da capogiro. Uno degli effetti più interessanti sarà l’utilizzo della rete di accumulatori delle auto elettriche come tampone per bilanciare i flussi energetici che tipicamente oscillano durante il giorno, a causa di diverse condizioni di domanda ed offerta. Mantenendo il flusso costante si potrà evitare l’accensione e lo spegnimento delle centrali termoelettriche per fronteggiare le oscillazioni attuali, che contribuiscono ad abbassare l’efficienza energetica.
Tuttavia questa svolta tecnologica richiederà adeguamenti sia dal punto di vista della quantità di energia elettrica prodotta che delle reti di distribuzione, senza dimenticare la necessità di elettrificare le strade stesse. La soluzione potrebbe essere un compromesso: ad esempio elettrificando solo le arterie principali e mantenendo piccole batterie tampone dell’ordine dei 5-10 kWh (ma anche molto meno) per garantire quei 50-100 di km di autonomia (tipici degli spostamenti giornalieri) sulle strade normali, la cosa diverrebbe economicamente sostenibile.
Alcuni storici dell’automobile hanno notato che lo sviluppo della rete stradale tende ad andare di pari passo con la motorizzazione di una nazione, in una sorta di traino vicendevole (c’è tuttavia da rilevare che è necessaria una solida base di crescita economica per permettere entrambe). In pratica, come la diffusione delle auto in una nazione sono andate e vanno di pari passo con l’incremento della qualità delle strade, così la diffusione delle auto elettriche a carica induttiva dovrebbe andare di pari passo con le strade a carica induttiva.
Tuttavia i tempi di realizzazione di una rivoluzione tale sono almeno di 30 anni circa, se non 40 o 50. Per questo l’auto elettrica non è il domani, semmai il dopodomani. Nel frattempo assisteremo ad un grosso transfer tecnologico dall’elettrico all’ibrido e sia benzina che gasolio hanno in serbo grosse sorprese tecnologiche. Se l’ultima decade ha visto una decisiva crescita del diesel e in quella in corso sta avvenendo l’ascesa dei carburanti alternativi (Metano, E85 e in rallentamento il GPL), molti analisti concordano che la prossima sarà il dominio delle ibride.
Nel 2035 si prevede che le auto con una componente termica tradizionale installata a benzina o gasolio (sia ibride che termiche pure) saranno ancora almeno l’80% del parco mezzi circolante. L’elettrico avrà un market share di poco sotto il 5%, principalmente in contesti urbani e di mobilità condivisa.
Di sicuro un altro fattore di cui tener conto è che la sostenibilità del nostro modello di trasporto passa anche da un utilizzo intelligente del trasporto privato solo nei casi in cui non è adeguatamente coperto da quello collettivo. E in ogni caso facendo attenzione a seguire stili di guida che permettono di diminuire i consumi, sia risparmiando denaro che tagliando qualche grammo di emissioni nel nostro piccolo.
Nella speranza che in un futuro prossimo l’elettrico si dimostri competitivo sul piano economico, energetico, tecnico e dell’utilizzo.
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