Ciao ragazzi, questo mese abbandonerò i miei soliti argomenti per compiere un rapido excursus nel mondo dei giovani milanesi politicamente e culturalmente impegnati. Non era previsto che il racconto di questa mia esperienza finisse per diventare un articolo, ma mi è stato richiesto a gran voce, quindi ecco qui. Se volete, potete vederlo come un resoconto di un fenomeno osservabile in natura, ma che raramente serve l’evoluzione, visto che genera solo esseri sterili. In questo caso l’unione è avvenuta tra la specie dell’hipster, notoriamente affascinato da ogni cagata qualcuno etichetti come “arte”, specialmente se astrusa, oscura e possibilmente incomprensibile ai più (insomma, non mainstream), e il tofa robboso sinistroide e puzzolente. Poteva venirne fuori qualcosa di buono? No.
Buona lettura.
Un amico che non vedo da tanto passa da Milano per soli due giorni; mi chiama martedì sera alle 23, troppo tardi per uscire ormai. “Però domani sono al Macao, ci possiamo vedere lì!”. E vabbe’, andiamo.
(Se non sapete cos’è Macao trovate qualche notizia qui, e qui la loro pagina facebook.)
Vado insieme al mio ragazzo. Il navigatore cerca di salvarci facendoci sbagliare strada otto volte, non rassegnandosi al fatto che l’imbocco della tangenziale di Lambrate è chiuso da tipo sei mesi. Ciò nonostante arriviamo e anche in leggero anticipo. Sulle scale ci sono sedute un po’ di lesbicone già ibridate in quell’unione di categorie egualmente endemiche e ugualmente moleste di cui sopra. Il mio fastidiometro inizia a lampeggiare. Ora, intendiamoci, io non ho niente contro le lesbiche, ma il sospetto di essere capitati a una serata per sole sgranapannocchie è forte.
Siamo lì che aspettiamo, quando una tizia con occhiali enormi e cartella in cuoio si precipita giù per la gradinata e mi urla nelle orecchie: “LO SPETTACOLO STA PER INIZIARE SE VI INTERESSA!”. Mi trattengo dal prenderla a gomitate sulle gengive e glisso con un “stiamo aspettando un amico…”. L’amico è in ritardo. Passano altri minuti, da dentro si sente un “tump!” fortissimo. Incuriositi, ci avviciniamo alla porta. La lavagna posta davanti all’ingresso recita “STASERA SPETTACOLO TEATRO FISICO VISUALE“. Augurandomi che l’ormai odiato amico si sia perso sulla circonvallazione e mi mandi presto un sms con scritto di lasciar perdere e tornare a casa, vado a sedermi di nuovo sui gradini. Intervallo, la gente esce con bicchieri di birra in mano e io penso che be’, almeno c’è da bere. Finalmente il mio amico arriva in compagnia di suo fratello e un altro tizio.
Entriamo. Davanti a un pubblico di tizi svaccati su seggiole di plastica nel tentativo di assumere una posa impegnata e scazzata allo stesso tempo, la sosia di Alessia Marcuzzi e la signorina Rottermaier si rincorrono sul palco lanciandosi oggetti, fingendo di impacchettare saponette, sbattendo le mani sui tavoli. A un certo punto una delle due prende una forchetta e pettina la frangetta dell’altra.
Impossibile non pensare a qualcosa del genere.
Apprendiamo con orrore che durante lo spettacolo non si può ordinare da bere. Mi appoggio al bancone, io fisso la spina delle birre e lei fissa me. E’ un amore impossibile e contrastato, finiamo per rassegnarci.
Basiti, decidiamo di esplorare il posto, col mio amico che, sordo alle bestemmie di tutti noi, dice “ma c’è un caffè letterario bellissimo, ogni giorno fanno qualcosa!“. Saliamo al piano di sopra, c’è sporcizia e degrado ovunque.
A tal proposito, una parentesi: ragazzi, io apprezzo tutto, apprezzo la volontà di creare dei luoghi di aggregazione giovanile, apprezzo lo spazio dato all’arte, al dibattito, allo stracazzo che volete, apprezzo lo sforzo fatto per sistemare e rendere fruibile un edificio abbandonato. Ma se non siete in grado di far capire ai quattro stronzi che stanno da voi che buttare cicche di sigarette e cartacce ovunque non ti rende più fico e non ti dà un tono, ma ti rende solo un coglione, allora avete un problema grosso.
Comunque, dicevo. Andiamo a cercare ‘sto caffè letterario delle mie gonadi. Guidati da un ragazzo spuntato dal nulla entriamo in una stanza. Su delle cassette di legno siedono in cerchio dei tizi che mangiano pasta al pesto in piatti di plastica e discutono. Solo qualche minuto più tardi, mentre cerco di rendermi invisibile contro una parete, riesco a captare le parole “noi dobbiamo puntare a un ribaltamento del sistema“. O qualcosa del genere. Insomma, una cagata così. Usciamo dalla stanza, torniamo in sala.
La regista dello spettacolo sta spiegando che a questo punto verranno distribuiti dei post-it su cui ognuno dovrà scrivere come vuole che vada a finire. Mi trattengo dal prenderne uno e scrivere “datevi fuoco”. Dalla mia combriccola, nel frattempo arricchitasi di un mio compagno di liceo incontrato per caso, anche lui trascinato lì e anche lui incredulo, arrivano i seguenti suggerimenti:
– “una spacca il tavolo in faccia all’altra e poi si suicida”
– “limonate”
– “pisciatevi addosso a vicenda”
Finalmente il bar riapre. Mi precipito a comprare una birra, che se non altro costa appena 2,50 euro. Almeno quello. Acchiappo una patatina da un vassoio, il mio ragazzo mi fa presente che i miei linfociti B avranno da ridire. Dopodiché, porto il mio culo fuori e consumo la mia birra sui soliti gradini, decisa a non rimettere mai più piede in quel posto.
Uniche note positive: un cagnolino molto carino che viene a farsi coccolare, una tizia obesa vestita tutta di verde che ha suscitato la mia ilarità. Ma mica per niente, perché sembrava si fosse mangiata l’Irlanda.
Volendomi impegnare ci caccio dentro anche l’impegno e la nobiltà di intenzioni.
Però vedete, se questo è il mondo dei giovani intellettuali impegnati milanesi, io posso trasferirmi a Kathmandu anche domani. Perché diciamocelo, a nessuno interessa una tipa che pettina con una forchetta un’altra tipa. A nessuno.
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