Il destino è un concetto cardine nella vita degli esseri umani e diverse interpretazioni, nel corso della storia umana, sono state date della sua natura e dei suoi effetti nella vita di tutti i giorni.
Filosofi e pensatori hanno provato a definirlo e a carpirne l’essenza, generando svariate scuole di pensiero e aprendo dibattiti che hanno contribuito a modellare il pensiero umano (ad esempio la questione libero/servo arbitrio).
Il videogioco, soprattutto nell’ambito dei giochi di ruolo, è tendenzialmente un “destino giocato” poiché sono i giocatori a portare a compimento delle storie, predeterminate ovviamente, interpretando la figura di un dio benigno che guida i passi dei protagonisti nel loro percorso, con una certa componente di casualità dovuta alle meccaniche di gioco.
Shadow Hearts: Covenant, secondo capitolo della serie omonima sviluppato dalla Nautilus per la Playstation 2, amplia questo concetto e introduce, nelle sue meccaniche, un’ulteriore componente causale che, meglio di tante altre trovate tecniche proposte nel corso degli anni da altri giochi, rende perfettamente da un punto di vista teorico e, se vogliamo, anche visivo il concetto di fato nei videogiochi.
La serie di Shadow Hearts risulta, generalmente, abbastanza sconosciuta al pubblico sia per la tiepida accoglienza ricevuta dal titolo che, per primo, proponeva embrionalmente delle idee di questo tipo a livello tecnico (Koudelka per la prima Playstation) sia perché il predecessore diretto di Covenant (Shadow Hearts) fu rilasciato poche settimane prima di quella pietra miliare che corrisponde a Final Fantasy X e quindi totalmente oscurato.
La trama di Shadow Hearts: Covenant si riallaccia al capitolo precedente, di cui è una diretta continuazione, ma può essere benissimo giocato anche senza conoscere l’antefatto, sebbene alcuni riferimenti saranno inevitabilmente perduti.
Il mondo è permeato dai fumi e dai colpi di cannone della Prima Guerra Mondiale, che sconvolgerà non poco le nazioni del mondo e le genti che vi abitano; parte dell’esercito tedesco, guidato da Karin Koenig, è intenzionato ad occupare il villaggio francese di Donremy, dove ha preso residenza, secondo le voci locali, un misterioso demone alato.
L’ufficiale tedesco condurrà la sua squadra nella chiesa del villaggio, alla ricerca di questa entità, per vederla completamente annientata sotto i suoi occhi e quelli dell’esorcista inviato dal Vaticano che si sarà unito a lei, tale Nicolai Conrad, proprio dal misterioso mostro.
Il demone alato però, una volta messo piede a terra, prenderà forma umana e precisamente le sembianze di un giovane ragazzo dai capelli castani…
La grafica di Shadow Hearts: Covenant è piacevole e immersiva e la Playstation 2 può gonfiare, orgogliosa, il petto di fronte al risultato finale.
Le ambientazioni sono svariate e fortemente dissimili fra loro: si può passare da una tranquilla cittadina di periferia a una metropoli, da un bosco nebbioso a un intricato dungeon sotterraneo; tutto questo senza che l’immedesimazione o il contesto stesso in cui ci si muove sembrino fuori posto o mal presentati a livello visivo.
I modelli dei personaggi e dei nemici sono curati nei minimi dettagli non solo a livello di animazioni e movimenti, ma anche per la minuzia dei dettagli in essi presenti, come gadget o semplici particolari estetici; la luce all’interno del gioco è sapientemente miscelata con l’ambiente circostante da cui può essere esaltata (ad esempio in un ambiente urbano) o affievolita (in ambienti chiusi) e anche nei combattimenti gli effetti luminosi sono sempre perfettamente inseriti sia da un punto di vista tecnico che visivo.
Le parti più importanti del gioco sono quasi sempre realizzate in computer grafica, ma sono presenti anche delle scene di intermezzo realizzate con il motore grafico del gioco (sempre in maniera eccelsa).
La colonna sonora di Shadow Hearts: Covenant è magnifica, non vi sono altri aggettivi.
Qualunque sia il tipo di situazione in cui ci si troverà invischiati, le tracce musicali saranno sempre perfettamente centrate sullo stato emozionale che ci si attenderebbe dai personaggi, sia esso disorientamento, rabbia o risolutezza; la musica di sottofondo accompagnerà e amplificherà le sensazioni derivanti da quel particolare momento di gioco.
Gli effetti sonori sono impeccabili sia nel combattimento che nei momenti di tranquillità, con un parlato digitalizzato sempre in sincrono e mai fuori luogo rispetto agli eventi di gioco.
Il gameplay è il cardine di Shadow Hearts: Covenant, la sua raison d’être.
Il sistema di gioco si discosta dagli standard dei normali JRPG, pur mantenendo in alcuni suoi aspetti degli elementi canonici, quali ad esempio: il combattimento suddiviso in turni, la scelta fra attacchi fisici o magici/elementali e il possesso di abilità speciali, uniche per ogni personaggio (ad esempio il nostro protagonista può trasformarsi in svariate bestie magiche, potenziabili nel corso del gioco).
Molto importante sarà lo schieramento dei nostri avatar nel terreno di scontro poiché la loro vicinanza permetterà di concatenare i loro attacchi attraverso delle combo; le magie non verranno sbloccate e utilizzate tramite l’acquisizione di punti esperienza o livelli, bensì ottenendo delle cosiddette “Crest” che, equipaggiate sul personaggio, permetteranno l’utilizzo della magia in esse contenuta.
Ma il vero fiore all’occhiello del gameplay è il “Judgement Ring” ovvero il meccanismo con cui si determina l’esito dei nostri attacchi, delle nostre magie o anche solo l’utilizzo degli oggetti: come con una ruota della fortuna dovremo calcolare il giusto tempo per far fermare il puntatore su le zone dell’anello che ci permetteranno di effettuare con successo la nostra azione, con delle porzioni rosse, meno ampie, che corrispondono ai colpi critici; a seconda di quante e quali parti dell’anello avremmo colpito varierà la potenza e il numero dei colpi del nostro attacco.
Le dimensioni delle aree da colpire potranno essere customizzate, per ampiezza, nel corso del gioco, a patto di trovare determinati oggetti.
Questo metodo per determinare gli attacchi, oltre che esser particolarmente originale, focalizza bene l’attenzione sui combattimenti senza che prenda il sopravvento la noia o il tenere premuto il pulsante attacco continuamente, rendendoci così ancor più padroni del nostro destino.
L’unica effettiva caratteristica di gioco a non essere modificabile sono le statistiche dei personaggi che varieranno in maniera autonoma ad ogni level up.
Shadow Hearts: Covenant non è un titolo particolarmente difficile, non più di un qualsiasi jRPG dello stesso tipo; il sistema del Judgement Ring potrebbe creare qualche complicazione ai giocatori non avvezzi a esso e che non hanno giocato il titolo precedente, tuttavia questo non risulta essere nulla di insormontabile ed è abbastanza facile prenderci la mano, a patto di avere un buon tempismo e una buona coordinazione.
Shadow Hearts: Covenant è un titolo abbastanza longevo che può essere completato in circa una cinquantina di ore se ci si concentra solo sulla trama principale, mentre con tutte le sottotrame e l’acquisizione di tutti gli oggetti secondari raggiunge le ottanta ore.
Data la presenza di due finali e il fascino che la trama e l’ambientazione esercitano, solitamente il titolo viene rigiocato almeno una seconda volta.
Shadow Hearts: Covenant è un titolo particolare che affascina e rapisce per le sue atmosfere e per la profonda immedesimazione che crea; nonostante il tono cupo della narrazione e delle vicende, una vena umoristica è sempre pronta a balzare fuori, dando un gusto agrodolce al dipanarsi della trama.
Inoltre il sistema del Judgement Ring non permette mai un eccessivo rilassamento al giocatore che è quindi sempre coinvolto in ogni singola battaglia che affronta con i suoi alter-ego virtuali, permettendo la loro sopravvivenza nell’ambiente di gioco.
Quasi come un dio benevolo che veglia sul destino dei propri protetti.
Gioco a pallacanestro da quando ho 5 anni e mi piacciono i libri scritti da gente morta almeno un secolo fa. Per il resto tutto bene.
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