È di qualche giorno fa l’annuncio di KeSpa della chiusura della Starcraft ProLeague. La notizia non sarebbe tale (considerando la sempre maggiore popolarità dei MOBA e il fatto che Starcraft fatichi a comparire nella top15 dei giochi più seguiti su Twitch) se la lega in questione non fosse quella coreana, arrivata a quanto pare al capolinea dopo 14 anni di storia.
Se un decennio fa – quando in Italia la parola ‘e-sport’ poteva al massimo esser presa per un typo – si fosse stilata una classifica degli sport più seguiti in ogni nazione, un gioco elettronico sarebbe comparso in cima alla lista per quanto riguarda il piccolo Paese asiatico. Si parla, ovviamente, di Starcraft.
La serie non avrebbe bisogno di presentazioni: uscito nel 1996 e seguito da un’espansione a due anni di distanza, l’RTS della Blizzard fu probabilmente, insieme ai Quake della id Software, il gioco che diede inizio al fenomeno e-sport. LAN party ed eventi multiplayer erano ovviamente già conosciuti da anni, ma la complessità del nuovo videogioco unita alla proverbiale precisione e dedizione degli asiatici finì col piantare i semi di una ‘scena-culto’ che sarebbe stata poi imitata e invidiata dai giocatori di tutto il mondo.
Se si escludono poche realtà (come quella degli FPS Arena), in Occidente, fino alla comparsa di strategici come Warcraft 3 e Age of Empires 2, l’idea di formare videogiocatori come fossero atleti, e dunque supportarli con coaching, studio della teoria del gioco e persino sponsorizzazioni era pura fantasia.
In tutto questo era invece impegnata l’enorme comunità coreana, la cui attività non venne ovviamente ignorata nemmeno da Blizzard stessa. La KeSPA (l’organizzazione che gestisce l’e-sport nazionale) è dalla fine degli anni ‘90 parte del Ministero della Cultura. Per fare un confronto con la situazione italiana basta pensare al fatto che la notizia del CONI di riconoscere i giocatori di sport elettronici nel nostro Paese è di soli 2 anni fa.
Se in Italia i Barcraft sono roba relativamente nuova, o estremamente di nicchia, in Corea i ‘PC bang’ dedicati agli e-sport hanno iniziato a spuntare come funghi quasi vent’anni fa. Com’è possibile che, in una nazione con un background simile, il gioco tradizionalmente più popolare venga abbandonato a se stesso dall’associazione che dovrebbe invece più di tutte foraggiarne se non la diffusione, almeno la sopravvivenza?
Per prima cosa è bene capire che la ‘scena’ coreana è stata per lungo tempo una realtà a sé stante. Con l’uscita di Starcraft 2 nel 2010 Blizzard ha fornito ai giocatori coreani un server dedicato – separato da quello per il resto degli asiatici – e persino degli achievement ‘nazionali’. Qui il primo episodio della serie ha continuato, nonostante tutto, ad essere giocato anche dopo l’uscita del successore, tale era la sua popolarità. Questa ‘specificità’ coreana ha iniziato a scomparire via via che Blizzard ha, prima, deciso di garantire l’accesso libero ai singoli server regionali per tutti i player, e poi, nel 2012, unito le competizioni nazionali a livello globale facendole confluire nei World Championship Series.
Per il resto, il declino di Starcraft come e-sport è una storia che affonda le sue radici nell’uscita dell’espansione Heart of the Swarm e nella lenta diminuzione di playerbase e pubblico da cui nemmeno la community coreana a quanto pare è riuscita a immunizzarsi.
Da una parte c’è l’intera industria dei videogiochi che sembra puntare sempre più spesso al team game, capace di attrarre più giocatori nella competizione. Nonostante Starcraft II fosse sin dall’inizio pensato e calibrato per la modalità 1v1, non si può dire che la Blizzard non abbia tentato di intercettare questo trend, con l’uscita di Legacy of the Void e le missioni co-op, la ‘Archon mode’, gli arcade e i team game resi disponibili anche a chi avesse solo l’edizione Free-to-Play del gioco.
Dall’altra, una vera e propria crisi del genere che, grand strategy game (in stile Europa Universalis e Civilization) e serie di Total War a parte, sembra non riuscire a tenere il passo con altre tipologie in crescita.
A tutto questo si aggiungono gli investimenti della stessa Blizzard, che avendo a disposizione l’utenza di battle.net (mai ostinatamente legata a un singolo titolo, ma continuamente bombardata di pubblicità e coccolata con offerte e promozioni su tutti gli altri prodotti della casa) come principale mercato, tenta di instradare i suoi clienti verso giochi che sembrano avere un miglior futuro: Hearthstone, Overwatch e Legion.
È dunque il caso di disinstallare Starcraft e prepararci al suo funerale ufficiale? Non proprio. Sebbene l’utenza sia in calo, l’RTS Blizzard è ancora, chiaramente, il miglior strategico competitivo. Il sistema di ladder e matchmaking perfetto, la comunità (che è, dai commentatori ormai sulla scena da più di 15 anni ai pro-player, una piccola grande famiglia allargata), il bilanciamento continuo da parte di Blizzard e l’uscita di nuovi contenuti, ne fanno un prodotto di altissima qualità. Va poi tenuto in considerazione il fatto che, nonostante player e viewer su Twitch siano calati, il numero di tornei e di premi è ancora ottimo.
Al momento, inoltre, non sembra che Blizzard sia al lavoro su Warcraft 4, il titolo che la comunità si aspetta come erede che rimpiazzerà SC2 come RTS di punta della casa. L’uscita di Overwatch, ha poi portato all’interno dell’universo Battle.net una grossa quantità di giocatori che ne erano estranei e che potrebbero così essere introdotti al “settore Koprulu“. È davvero difficile quindi prevedere se nuovi DLC, modalità di gioco (magari una sorta di pvp con gli eroi disponibili nel co-op?), arcade o semplici mode nel mercato videoludico potranno alla fine riportare in auge una serie che per 20 anni è stata il simbolo stesso dell’e-sport.
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