I mondiali di ciclismo tenutisi nella location (Doha, capitale del Qatar) forse più brutta, ma sicuramente più stupida (sul Golfo Persico le temperature e il tasso di umidità a ottobre sono quasi proibitive) della storia della competizione, hanno avuto comunque una bella chiusura con un degnissimo vincitore.
Molte sono state le polemiche che hanno preceduto questa manifestazione, cresciute ancora di più alla luce delle prevedibili problematiche emerse in corso d’opera. Caldo assurdo, vento, deserto, malori vari e condizioni psico-fisiche proibitive, il tutto in uno scenario che ha visto una squallida assenza di pubblico. Il Qatar sta investendo molto nello sport per avere visibilità (tant’è che nel 2022 si terranno lì i mondiali di calcio, per fortuna pare in pieno inverno), ma è innegabile che la mancanza di cultura e tradizione in uno sport che fa dell’estrema resistenza fisica e della durata dello sforzo prolungata nel tempo i suoi tratti peculiari abbia causato grandi lacune sia nella programmazione, sia, e questo è forse l’aspetto più triste per i non appassionati, nel semplice aspetto “spettacolare” dell’evento. Muri umani di tifosi del ciclismo (più che di “un” ciclista in sé) come si vedono nelle tappe di montagna dei Grandi Giri o lungo i percorsi delle Grandi Classiche sono stati solo uno sbiadito ricordo.
Chilometri e chilometri transennati in mezzo al nulla, per quella che è una sboronissima cattedrale (letteralmente) nel deserto. Zero spettatori, un caldo atroce (40° C), svenimenti, e rifornimenti calcolati con un’idiozia così colpevole da sembrare quasi voluta non ci impediscono di andarvi ad elencare alcune considerazioni sugli importanti aspetti sportivi della manifestazione.
1) La strepitosa vittoria di Elisa Balsamo nelle categoria juniores femminile, al termine di una volata vinta di prepotenza. Il lavoro di squadra superbo è stato poi evidenziato al momento della premiazione sul podio: difficile non emozionarsi rivedendo queste immagini, stonature a parte.
Per la Balsamo poco da dire, si tratta già di una piccola campionessa: oltre a quest’ultima vittoria, solo nel 2016 è stata già Campionessa Italiana su strada, Campionessa Europea e poi Mondiale dell’inseguimento a squadre su pista, Campionessa Europea e poi Mondiale dell’Omnium, medaglia d’argento agli Europei su strada, e pure la convocazione (stavolta solo come riserva) pure alle Olimpiadi.
2) Diversa è stata la gara della categoria juniores maschile, dove il danese Jakob Egholm ha vinto con un colpo da vero finisseur. Gli italiani purtroppo non hanno interpretato benissimo questa prova, e solo il vicentino Luca Mozzato (alla fine quarto all’arrivo) si è ritrovato nel finale in quella che era la fuga decisiva di un gruppetto formato da una ventina di unità.
Denmark's Jakob Egholm is the 2016 UCI Juniors World Champion! ? #UCIDoha2016 https://t.co/TFUouGaUDO
— UCI (@UCI_cycling) October 14, 2016
3) Il mondiale maschile under 23 (che sconta il “difetto” anacronistico di vedere correre nella stessa gara ciclisti che sono già professionisti e altri che sono sempre dilettanti) ha visto il bresciano di origini polacche Jakub Mareczko (per l’appunto professionista da 2 anni, l’unico degli italiani) concludere sul gradino più basso del podio. La vittoria è andata meritatamente alla Norvegia, che ha controllato e pilotato agevolmente la gara fino a portare all’oro Kristoffer Halvorsen in volata. Da segnalare altri malori per il caldo, tra cui quello che vedete in foto del belga Enzo Wouters.
4) Della cronometro a squadre femminili c’è poco da dire, riguardo i risultati. Sì, OK, conta anche quello, ma conta molto di più lo schifo che hanno dovuto vivere le cicliste tra temperature proibitive e totale assenza di spettatori. Questo video in inglese è molto eloquente e spiega bene la situazione paradossale e vergognosa: non è più ciclismo questo.
5) Il mondiale donne elite ha visto un altro arrivo in volata. Nella squadra azzurra mancava la velocista più forte (Giorgia Bronzini), le altre hanno fatto di necessità virtù e alla fine è arrivato il quinto posto di Marta Bastianelli, nonostante un problema al pedale a un chilometro e mezzo dal traguardo che ha rischiato di farla cadere. Campionessa mondiale la giovane danese Amalie Dideriksen, già campionessa mondiale juniores nel 2012 e nel 2013.
6) Infine il pezzo forte del programma che ha visto un “mostro” bissare il titolo mondiale dello scorso anno e entrare nella storia. Perché Peter Sagan non è solo un eroe nazionale per la Slovacchia, o un astro sempre più splendente del ciclismo mondiale, ma un vero e proprio personaggio fuori dagli schemi che riesce a emergere per le proprie bizzarrie e i propri modi estranei allo stereotipo classico del ciclista. Ma soprattutto è uno che vince, e vince grandi corse, rispondendo quasi sempre presente ai grandi appuntamenti, quelli che alla fine contano davvero nel palmares di uno sportivo al di là della disciplina, che sia ciclismo o altro.
Nel 2016 è stato il secondo ciclista della storia a vincere in maglia iridata la Gand Wevelgem (l’ultimo era stato nel 1962 Rik Van Looy), poi è andato a vincere (per distacco!) la sua prima “Classica monumento” ovvero il Giro delle Fiandre. Limitandoci solo alle vittorie ci sono poi 2 tappe vinte al Giro della California, 2 tappe al Giro di Svizzera, 3 tappe al Tour de France, 2 tappe all’ Eneco Tour, il Gran Prix del Québec e poi vittoria del Campionato Europeo, una bizzarra partecipazione in MTB alle Olimpiadi e appunto il bis mondiale davanti ad ex campioni mondiali (e tuttora big del ciclismo) quali Mark Cavendish e un eterno Tom Boonen, che lo accomuna a grandissimi del passato come i nostri Gianni Bugno (nel 1991-1992) e Paolo Bettini (2006-2007), gli ultimi ad aver fatto la sensazionale doppietta nel ciclismo.
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