(‘Don’t Buy Into The Gender Wage Gap Myth‘ Articolo originale disponibile qui)
Questo semestre ho parlato a un gruppo di 70 laureande ad Harvard, dove mi trovo in questo periodo. Ho chiesto se credessero che, una volta uscite dall’università, sarebbero state pagate il 78% di quanto guadagnano i loro colleghi maschi, per il solo fatto di essere donne. La maggioranza di loro ha risposto di sì.
Per essere ammesse ad Harvard, queste giovani donne hanno dovuto distinguersi ed emergere come le più intelligenti, talentuose e determinate tra i loro compagni di scuola. In questa primavera, Harvard ha accettato solo 2037 tra i 39041 studenti che hanno presentato la loro iscrizione per il 2020 – il 5.2%.
La credenza più diffusa è che i laureati di Harvard, incluse le giovani donne che ho incontrato, faranno faville quando dovranno affrontare il mercato del lavoro post-laurea vedendosi aprire molte porte e ottenendo opportunità che saranno invece negate ai candidati incapaci di esibire un curriculum di tale rilievo.
Eppure, per qualche ragione, queste ragazze sono certe che un futuro di discriminazione di genere le attenda nel mondo del lavoro e che, per il semplice fatto di essere donne, dovranno, per colpa di un’ingiusta società che favorisce gli uomini, sopportare una tassa del 22% sulla busta paga.
Tristemente, la Casa Bianca e molti gruppi di donne continuano a sostenere quest’idea.
La sezione del sito della Casa Bianca dedicata al wage gap riporta che “in media, le donne impiegate a tempo pieno guadagnano solo 78 centesimi per ogni dollaro pagato a un uomo”. La ‘American Association of University Women’ ha pubblicato un report questa primavera chiedendo: “sapevi che nel 2014 le donne con un lavoro full-time sono state pagate il 79% di quello che gli uomini hanno guadagnato?” e il sito web del National Organization for Women scrive che “per quanto riguarda i lavori a tempo pieno, le donne sono pagate in media solo il 77% di quanto gli uomini guadagnano… le donne continuano a non godere di parità di retribuzione né per quanto riguarda le ore di impiego né ovviamente per il valore del lavoro svolto”.
Il 12 Aprile è stato proclamato giorno della ‘Paga Uguale’. È la giornata che simbolicamente segna quanto ancora le donne dovrebbero lavorare per raggiungere quello che gli uomini hanno guadagnato l’anno precedente. In rispetto a questa giornata, la casa bianca ha annunciato la progettazione di un nuovo monumento nazionale per l’uguaglianza delle donne e per sottolineare gli sforzi dell’amministrazione Obama nell’affrontare il problema della disparità dei salari.
Non ci si può meravigliare del fatto che le ragazze al college continuino a credere al mito del wage gap. La Casa Bianca ed altre organizzazioni continuano a perpetrarlo, manipolando statistiche per convincere le donne di esser vittima di una discriminazione sociale sistematica e, dunque, aver bisogno dell’azione del governo.
L’uso di queste statistiche come prova di discriminazione è stato demistificato più e più volte. Questi dati non tengono in considerazione le diverse scelte che donne e uomini fanno – in termini di istruzione, esperienza e ore di lavoro – che influenzano poi il salario. Se vogliamo avere un dibattito produttivo sul wage gap sarebbe bene considerare tutti questi fattori, insieme al resto dei dati. In un articolo di Slate del 2013, Hanna Rosin, autore di The End of Men, per esempio, scrisse:
“Le statistiche ufficiali del Dipartimento del Lavoro mostrano che il guadagno medio delle lavoratrici è il 77% del dato equivalente per gli uomini impiegati. Questo, tuttavia, è molto diverso dal sostenere che le donne ricevano “77 centesimi per ogni dollaro degli uomini, in compenso per lo stesso lavoro”. Quest’ultima frase dà l’impressione che un uomo e una donna, seduti l’uno accanto all’altra e impegnati nella stessa mansione per lo stesso numero di ore vengano pagati con diversi salari. Non è assolutamente così. “Tempo pieno” significa, ufficialmente, 35 ore, ma gli uomini impiegati superano questa soglia. Questo è il primo problema: si stanno confrontando uomini che lavorano 40 ore con donne impiegate per sole 35”.
Le lobby femminili e i politici, inclusa l’ex-segretario di stato Hillary Clinton, continuano a voler convincere le donne di esser pagate quasi un quarto in meno dei loro colleghi uomini e usano questa statistica come scusa per proporre una legislazione ancora più invasiva nei rapporti tra datore di lavoro e impiegato, come il Paycheck Fairness Act.
In queste elezioni, le elettrici hanno sorpreso in molti, specialmente la Clinton, riuscendo a superare la classica retorica femminista. Le ragazze nel New Hampshire, per esempio, hanno rifiutato le dichiarazioni dell’ex-Segretario di Stato Madeleine Albright, che sosteneva che ogni donna avesse il dovere di votare per Hillary Clinton. Albright ha persino detto che “c’è uno speciale girone all’inferno per le donne che non si danno una mano a vicenda”. Come risultato Bernie Sanders ha vinto l’82% dell’elettorato femminile under 30 del New Hampshire.
Le ragazze dei college che stanno già sfidando la retorica della Clinton che gli imporrebbe di votare per lei in quanto donna, dovrebbero anche mettere in dubbio il suo uso delle false statistiche sulla disparità di salario.
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