Corre l’anno 1994, e la Walt Disney decide di creare un lungometraggio su una delle sue colonne portanti: Pippo. Per produrlo, si rivolge niente meno che al regista Kevin Lima, al tempo reduce di altri due capolavori come Aladdin e Oliver & Company. Subito dopo aver letto le bozze, Lima ne rimane talmente entusiasta che nel 1995 il film esce già nelle sale.
Spin-off della serie animata Ecco Pippo!, il film ricalca la storia della relazione tra Pippo e il figlio Max, ma in una chiave molto più matura rispetto alla serie principale. La trama riprende i classici cliché da road movie americani riletti in chiave cartoon. Immerso nel tipico ambiente liceale americano, Max cerca di riscattare la sua figura di perdente per far colpo su Roxanne, la ragazza di cui è innamorato. La sua scalata sociale viene però bruscamente interrotta proprio dal padre, il quale, preoccupato per il futuro del figlio e desideroso di ricostruire il suo rapporto con lui, decide di partire per un viaggio che attraverserà l’America da est a ovest all’insegna della pesca, senza curarsi della ritrosia del figlio. Il disagio di Max, che per una bugia detta a Roxanne vivrà l’intero viaggio con una spada di Damocle sulla testa, contrasta con l’innocenza e l’entusiasmo di Pippo, e con i suoi programmi che includono pesca, campeggio e divertimenti puerili. Le scene più divertenti, infatti, sono proprio quelle in cui il divario tra i due viene portato all’estremo, come nella geniale e imbarazzante scena al Lester’s Possum Park.
La pellicola, già dal primo minuto, manda messaggi forti e chiari: basti pensare alla scena iniziale, in cui Max sogna di baciare Roxanne ma all’improvviso si trasforma in una fotocopia del padre, con tutti i suoi difetti. Il sogno mostra come Max abbia paura di assomigliare al padre, proprio come gli adolescenti che si vergognano dei propri genitori, ossia di coloro che hanno già sacrificato tutto per i figli, ma che – sapendo cosa significhi quell’età, tra problemi di scuola, soldi e amori – continueranno a sacrificarsi.
L’intero film è incentrato sul problema della comunicazione intergenerazionale. La scena dell’autoradio, nella quale Max e il padre litigano per decidere che musica ascoltare – o, ancora, quella in cui Max getta via il cappello-opossum che Pippo, sperando di farlo felice, gli ha comprato – non fanno altro che esasperare la questione della comprensione tra padre e figlio. Proprio questa mancanza di comunicazione spingerà Pippo a intraprendere il viaggio, per potersi avvicinare al figlio e tentare di capirlo meglio, e ad accettare anche dubbi consigli da loschi figuri come Pietro. E sarà proprio la conclusione di questo viaggio a segnare il rapporto dei due, con la frase decisiva di Pippo: «So che è la tua vita, ma volevo farne parte anch’io». È proprio in questo momento che i due personaggi si avvicinano, comprendendo finalmente i loro discordanti punti di vista.
Con questo film i personaggi vengono stravolti dalla serie principale, per renderli più simili ai personaggi canonici. Il look di Pippo, che nella serie era molto più vicino al George Geef degli anni ‘40, è ora totalmente rivisitato, per riavvicinarlo al suo design più tradizionale. Personaggi come Peg, Carabina e gli animali domestici, d’altra parte, vengono tolti definitivamente di mezzo, lasciando soltanto Pietro, P.J. e Max. Ma, soprattutto, viene proposto un Pippo insolito, serio, che si arrabbia col figlio quando scopre che gli ha mentito. Un Pippo, rispetto al solito, meno idiota ma più triste, che fa uso di una comicità molto meno demenziale e molto più matura. Il lavoro fatto sul personaggio di Max, poi, non è da meno. Quella che nella serie era una figura solare, allegra e un po’ monotona, viene qui fatto maturare e trasformato in un adolescente melancolico, pensieroso e problematico, che però non risulta antipatico: il suo punto di vista viene capito dal pubblico sin dalle primissime scene, grazie al succitato espediente dell’incubo ricorrente. Oltre ai due protagonisti, ritornano i già noti Pietro e P.J. – classico stereotipo della famiglia americana, con tanto di obesità, macchinoni e autorità – e si viene a conoscenza della new entry Bobby, un ragazzo fricchettone amante della tecnologia e dipendente dal gorgonzola, e naturalmente di Roxanne, la tipica bella ragazza della porta accanto, sogno segreto di Max.
La parte musicale, come la buona tradizione Disney insegna, è una delle colonne portanti della pellicola. Passato e presente si rincorrono e si scontrano, sia nel film che nella colonna sonora, e questo scontro viene rappresentato al meglio nella scena dell’autoradio. Da una parte abbiamo l’antiquato Pippo, incarnato dalla musica folk della più classica tradizione americana, e dall’altra abbiamo il moderno Max, amante delle sonorità pop e della rockstar fittizia Powerline, versione canina di Michael Jackson, doppiata da Tevin Campbell, che, per il suo stile, molto spesso viene paragonato proprio a Michael Jackson e Prince.
In Viaggio con Pippo, in definitiva, non ha nulla a che vedere con le altre produzioni della Disney Television o dei DisneyToon Studios, qualitativamente altalenanti e rivolte per lo più ad un pubblico ingenuo e infantile. La sua vera essenza, sebbene un po’ bistrattata, è puramente Walt Disney Animation Studio, e questo traspare in ogni sequenza, il che lo rende una sorta di Classico Disney ufficioso. Una regia consapevole, una sceneggiatura fluida e dei dialoghi arguti rendono la storia raccontata assolutamente universale, come nella miglior tradizione dei classici Disney.
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