Credo che tutti, per consigliare un film o una serie televisiva, usino dei paragoni con film e serie TV molto conosciute. Ecco, per consigliare Bojack Horseman, serie animata di Netflix, si potrebbe usare questo paragone: “Birdman ma con un cavallo”. Forse non esiste paragone più azzeccato che con questo film da Oscar di Iñárritu, visto che entrambe le opere parlano di star del cinema decadute con voglia di rivalsa, ed entrambe muovono una dura critica allo star system hollywoodiano.
La serie è ambientata in una Los Angeles in cui animali ed esseri umani convivono. Il protagonista è BoJack Horseman, un attore-cavallo fallito, famoso per una sitcom anni novanta intitolata Horsin’ around, incentrata su di un cavallo single che deve crescere tre orfanelli – una chiara parodia, questa, a serie come Full House, che la stessa Netflix ha ironicamente rilanciato, a distanza di anni, con un sequel. L’obiettivo di BoJack è quello di non essere dimenticato, e le strade tentate per raggiungere questo obiettivo comprendono, nell’ordine, un libro sulla propria vita, un film e addirittura una campagna per ricevere l’Oscar.
Rispetto a tantissime serie animate umoristiche, BoJack Horseman si distingue nettamente, sopratutto grazie al protagonista. Di solito, infatti, i protagonisti di una serie animata comica si dividono in tre tipi: possono essere personaggi stupidi, come il mitico Homer Simpson, possono essere personaggi esuberanti e particolari, come Eric Cartman di South Park, oppure, infine, possono essere stupidamente particolari, come la spia Archer della omonima serie. BoJack non appartiene a nessuna di queste categorie. È un personaggio triste, che cerca di fare la cosa giusta ma si ritrova sempre a fare quella sbagliata, con problemi di alcol e con una certa tendenza all’autodistruzione. Un personaggio malinconico, insomma, con un tipo di umorismo più alla Louis C.K. che alla Peter Griffin.
Come umorismo e satira, il livello è alto, tanto da poter affrontare pressoché qualunque argomento, dalla depressione all’immagine pubblica, passando per i rapporti di coppia. Basti pensare che il nome provvisorio della serie era BoJack the Depressed Talking Horse, titolo che non avrebbe lasciato ben poco all’immaginazione, per quanto riguarda il contenuto della serie. Un altro punto di forza sono i dettagli: molte volte, la risata stessa viene da quello che succede sullo sfondo, più che da quello che viene mostrato in primo piano, grazie alla grande quantità di gag dovuta alla presenza di animali antropomorfi. Non meno notevole è la qualità del disegno dimostrata da Lisa Hanawalt, con una colorazione che sembra eseguita ad acquerello.
La serie, oltre ad essere una divertente satira del divismo hollywoodiano, presenta anche una potente riflessione sull’essere umano e sul suo viaggio nella vita, cosa che non ci si aspetterebbe mai da un Cavallo Parlante. È una serie divertente con battute ed espedienti geniali, come ad esempio i vari flashback che mostrano gli anni ottanta e novanta, ma la serie fa anche riflettere. Nel vederla si arriva a riconoscersi col protagonista e coi suoi compagni di sventure, e a provarne tenerezza, anche nei loro momenti peggiori. Soprattutto, non è da sottovalutare la moltitudine di personaggi secondari: ognuno è importante e viene approfondito. Un esempio può essere Todd, doppiato da Aaron Paul (Jesse Pinkman di Breaking Bad), un giovane scansafatiche che vive a scrocco in casa di BoJack, ma anche tutti gli altri personaggi vengono trattati come elementi importanti, e non come dei giullari: ogni personaggio ha la sua storia.
Un altro punto di forza è che, nonostante la grande presenza di feels, c’è comunque tanto umorismo, e gli episodi sono uno meglio dell’altro. Il trucco, se si può chiamare così, consiste nel perfetto dosaggio tra divertimento e introspezione. Si ride e si riflette allo stesso tempo. BoJack Horseman, nonostante sia un cavallo parlante in un mondo dove Salinger è vivo e lavora per la televisione, ci rappresenta tutti, nelle nostre delusioni, nei sogni e nelle paure.
Ha cominciato a scrivere a 12 anni per il giornale della parrocchia. Poi per qualche strano motivo, è finito a scrivere su Imdi dopo la classica adolescenza complicata. Studente universitario, admin a tempo perso di Matthew Mr. Renzie e appassionato di cinema, musica, serie tv, fumetti, cultura pop e tante altre cose che non stiamo a dire che senno non è più una descrizione dell'autore ma diventa una biografia.
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