“Siamo in democrazia, dunque la mia opinione vale quanto la tua.”
Quante volte ve lo hanno detto? Quante volte vi siete trovati di fronte ad individui con arroganza direttamente proporzionale alla loro ignoranza? Quante volte avete letto commenti impreparati su Internet, proprio su Internet, dove in cinque minuti ci si può informare un filino meglio? A quanti dibattiti con scrotocefali altezzosi e completamente fuori luogo avete partecipato?
Presumo che tutti abbiate seguito le simpatiche vicende dei fanatici animalisti, (O #nazimalisti che dir si voglia), responsabili di atti di minaccia in piena regola contro ricercatori e privati sulla base del vuoto pneumatico di argomentazioni; per fare un altro esempio, abbiamo l’egregio Vannoni e il suo metodo Stamina, privo di convalidazioni scientifiche o di peer reviews, che continua a marciare sulla presunta efficacia del trattamento seguito da un codazzo di “miracolati” (già smentiti da indagini.) In entrambi i casi, vi siete resi conto che le argomentazioni dei sostenitori sono insufficienti perchè insufficiente è la loro preparazione.
La concezione di confronto intellettuale non esiste più, mutata per sempre in quella brodaglia fetida di commenti ricolmi di presunzione, in quella tuttologia dei poveri, in quella rincorsa a chi la spara più grossa dal suo scranno di insufficiente conoscenza dell’argomento; superfluo dire che questo problema è sempre esistito e che Internet ha solo amplificato una tendenza preesistente nell’animo umano.
Questo mi dà da pensare. Quante volte dobbiamo ancora mostrare l’ovvio, ovvero che la tua opinione vale quanto le altre solo nella misura in cui ti dovrebbe essere concessa la stessa possibilità degli altri di esprimerla? Subito dopo averla espressa, essa perde il suo valore di uguaglianza e ne assume uno in base alla tua effettiva conoscenza sull’argomento.
Io posso andare ad un convegno di cuochi e dire che nella pasta col tonno ci va messo il parmigiano, rivendicando l’esattezza della mia affermazione, ma non posso pretendere che sia preso sul serio solo sulla base di una mia preferenza e di una totale inesperienza in questo campo.
Non si può andare in giro a dire che una cosa è giusta perchè l’ha detto mio Cuggino, o che che il pinzimonio con la peperonata cura il cancro perchè l’ho letto su sciichimicipuntocom, o ancora che “rispetto la tua opinione, però sei unammerdah perchè io ho ragione e tu naaaaaah”. Soprattutto, dobbiamo fare una distinzione tra “avere una opinione” e “citare ad minchiam”, perchè il citazionismo selvaggio e indiscriminato usato nelle discussioni è utile come una boccia di grappa nel deserto.
Tutti adesso apparentemente sanno tutto, ma nessuno in realtà sa un cazzo di niente. Sono tutti cuochi, scrittori, medici, fisici, politici, fotografi, musicisti, encomisti, grafici et cetera. Io non dico che un po’ di eclettismo faccia male, io dico che dovete conoscere accuratamente l’argomento su cui sputate sentenze, se volete che vi sia dia un minimo di credibilità.
Non bisogna avere una laurea in Economia per parlare dell’ andamento del mercato, ma bisogna effettivamente avere una certa competenza. Bisogna portare fatti, teorie supportate da ragionamenti e prove che siano corrette, universali e con una certa coerenza; io posso confutare l’opinione del Gran Professorone di Sta Cippa, se porto le prove e gli studi a supporto della mia teoria, condotti da me o presi da fonti attendibili. Perchè se ci si affida solo all’altisonanza dell’attestato, senza effettivamente confrontarsi con altre fonti e con spirito critico, allora ci fidiamo di qualsiasi cazzata che un ente ritenuto autorevole può dire.
Non si tratta di giudicare le persone, si tratta di giudicare ciò che mettono sul piatto intellettuale. Se dici una stronzata puoi essere anche il Padre Eterno, rimane una stronzata.
La funzione di un titolo di studio dovrebbe essere proprio questa: una garanzia che sono consapevole degli aspetti del mio campo di interesse. Ma non è una certezza metafisica. Degno di nota è che noi siamo i primi che sfruttiamo il meccanismo del “perchè sì” quando ci troviamo dall’altra parte della barricata perchè è più comodo del mettersi in discussione.
La possibilità di sbagliare e di migliorare può e deve giustificare un nostro impulso ad esprimere opinioni anche scomode e ad interessarci di più cose possibili, non la voglia di dir cazzate e fare il tuttologo; se tutti sanno e sanno fare tutto, se tutte le opinioni sono corrette, a che serve specializzarsi? Io mal sopporto il genere umano, ma sono consapevole del potere evolutivo che ha il confronto: se potessimo funzionare in singolo la società non esisterebbe e io mi crogiolerei nella mia perfezione.
A cosa porta tutta questa autoreferenzialità distorta? Porta alla svalutazione di qualsiasi capacità o talento, vanifica gli sforzi di quanti non si accontentano di una verità parziale o monca, spoglia una figura della sua professionalità e competenza, perchè un qualsiasi stronzo che non ha mai ragionato mezzo secondo su un certo argomento può ridicolizzare la tua cultura.
Se non sei competente in un argomento non puoi denigrare a priori il mio lavoro, visto che non sai di cosa si tratta. Io per esempio non ne capisco un cazzo di meccanica, dunque non mi permetterei mai di insultare il mio meccanico perchè secondo me non fa bene il suo lavoro; però, se ho la sensazione che mi stia fottendo, o effettivamente mi sembra che ci sia qualcosa che non vada allora mi premuro di informarmi un po’ sull’argomento (magari da altri meccanici competenti) e cerco di avere un confronto più civile possibile (certo, bisogna anche tener conto che questo è un fenomeno squisitamente italiano: quando incontriamo qualcuno che non conosce i risvolti della nostra professione non esitiamo a metterglielo in culo. Ma sto divagando.).
In definitiva, quali somme possiamo tirare dal regime di Ciarlocrazia in cui viviamo oggi? Che chi è realmente competente può venire ragionevolmente confutato da chi non lo è, chi ha idee valide può essere schiacciato dallo studio condotto dall’Istituto della Fuffa, o peggio ancora, da una istituzione seria che rigetta le innovazioni manco fossimo tornati ai tempi della Santa Inquisizione, chi immette in circolo notizie false (per scherno al settore dell’informazione o per manipolare la realtà dei fatti) può diventare fonte attendibile, che vengono poi ovviamente integrate nel circolo vizioso della presunzione, e per concludere, che di fatto il rincoglionito con cui avete discusso quaranta minuti su Facebook sull’efficacia dell’urina di armadillo nel trattamento della prostata ingrossata può averla vinta perchè esiste un sistema che lo gratifica e lo premia per la sua pochezza, per il suo essere approssimativo, per la sua pigrizia intellettuale.
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